mercoledì 27 febbraio 2019

Suburra 2 - Finalmente Roma è piena di criminali


Quando finì la prima stagione di "Suburra" e iniziai a parlarne non ne ero pienamente convinto.
Da una parte ero molto contento di rivedere un qualcosa di più simile a "Romanzo criminale" e più lontano da "Gomorra" tuttavia continuavano a mancare delle parti fondamentali.
Alcuni personaggi non erano convincenti o giravano a vuoto e appesantivano l'intera vicenda mentre chi riusciva a raggiungere i suoi obiettivi lo faceva con qualche capriola di troppo.
In sostanza si era centrato l'obiettivo ma il tutto non era stato fatto perfettamente e l'intera serie aveva bisogno di essere migliorata su tutti i fronti.
Questa seconda stagione, fortunatamente, è riuscita a migliorare tutti i punti deboli della precedente annata sopravvivendo anche a qualche forzatura nella scrittura.

Siamo ancora a Roma, i nostri protagonisti non sono cambiati ma sono sicuramente maturati.
Spadino è sempre più convinto della sua posizione e sempre più voglioso di essere sé stesso e di volere un posto di comando proprio ora che il fratello è indisposto.
Aureliano si è lasciato indietro i suoi fantasmi e sta cercando di capire come affrontare quelli che si ritrova ancora accanto.
Gabriele ha fatto strada nella polizia, si è messo il padre e Samurai alle spalle e cerca di fare il suo lavoro al meglio.
In breve tutti e tre i nostri "eroi" saranno costretti a confrontarsi e a riunirsi per cercare quella libertà che hanno sfiorato durante la prima stagione ma che non sono veramente riusciti ad afferrare.
Grossa e convincente aggiunta di questa stagione dalla parte dei tre ragazzi, una non ho voglia di citarla perché è parte di un filone di trama imbarazzante, è Federica Sabatini che in un' ipotetico continuo della serie che inglobi i film potrebbe benissimo prendere il posto della Scarano.

A non essere cambiato è Samurai che si ritrova sempre nel mezzo della città di Roma.
Tra preti e politici, alcuni conosciuti e altri meno, sarà ancora lui il villain della stagione, questa volta l'unico, contro cui i tre ragazzi dovranno scontrarsi.
Sorpresa di questa seconda annata della serie Netflix è sicuramente il fatto che lui stesso si ritroverà in difficoltà e la sua vita verrà messa in pericolo.
Ad "aiutarlo" troveremo il personaggio interpretato dal sorprendente Jacopo Venturiero che porta sullo schermo due parti di Roma molto presenti nella realtà che precedentemente non erano state portate in scena.
Chiudono il cerchio i due personaggi "fuori" dal mondo criminale della serie: quello di Claudia Gerini e quello di Filippo Nigro.
Se entrambi sino a questo momento erano stati lontani dalle azioni e dai personaggi più importanti quest'anno i due "diventano parte" della squadra e l'intera sceneggiatura ne trae beneficio creando un racconto più coerente e più articolato.

Un anno fa l'unica cosa che non doveva essere modificata perché perfetta era il lato tecnico della serie quest'anno, invece, possiamo lasciare tutto così.
Lasciati in soffitta i triangoli amorosi o i filoni narrativi legati alla droga abbiamo tre protagonisti più sicuri, in una posizione non proprio di potere ma dalla quale sono capaci di muoversi e di colpire senza problemi.
Finalmente il nostro trio di criminali preferiti è convincente e sembra essere pronto a conquistare Roma.



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lunedì 25 febbraio 2019

True Detective 3 - Time is a flat circle sometimes


Per gran parte del tempo ho provato un senso di fastidio guardando questa terza stagione di "True detective".
Mi sembrava di star guardando un qualcosa di già visto, di già sentito e di già scritto.
Mi sembrava di vedere una prima stagione con dentro la tematica razziale e al posto delle donne scomparse i bambini.
Mi sembrava di avere davanti, ancora una volta, l'ennessimo uomo nero bianco e ricco che aveva fatto qualcosa di male e era riuscito a farla franca.
Ancora una volta mi sembrava che Pizzolatto avesse deciso di prendere un gruppo di detective, mischiare le carte con un gioco legato ai piani temporali e di riunire il tutto puntando il dito sul solito villain interessato ai bambini come era accaduto nella prima stagione, nella seconda e ora in questa.
Insomma, mettetela come volete ma mi sembrava di rivedere sempre la stessa cosa, mi sembrava che tutto si stesse ripetendo come se un serpente si stesse mangiando la coda.
Questo da alcuni era visto come un pregio, come una mossa intelligentissima ad opera dello sceneggiatore consapevole delle passate stagioni e capace di richiamarle a sé in questo modo.
Non stavamo vedendo ancora una volta più piani temporali perché serviva alla trama ma perché si voleva richiamare le precedenti stagioni e così via.
Molti ci vedevano della genialità io ci vedevo solo una faccia da culo e poca inventiva.

Fortunatamente però, non l'avrei mai detto, gli ultimi due episodi sono riusciti a rimettere insieme i pezzi del puzzle dando allo spettatore uno sguardo complessivo all'intera indagine, uno sguardo chiarificatore e, per me, soddisfacente.
Le ultime due puntate dello show, avevamo già avuto i primi indizi nel sesto episodio, hanno messo in ordine alcune cose e ci hanno dato la possibilità di dividere la prima e la terza stagione di "True detective" in maniera chiara allontanando il senso di ripetizione e mettendo le cose nelle giuste caselle.
Questo finale, per me, corona una stagione che ha visto un intreccio non troppo complicato, in linea con le passate stagioni ma coerente con la soluzione conclusiva.
A differenza di una prima annata con un intreccio troppo semplice per una soluzione così complicata e della seconda con un intreccio complicatissimo per una soluzione semplice qui tutto è nettamente bilanciato, fatto con precisione e dosato nel migliore dei modi.

Così, lasciando stare il caso, abbiamo i paesaggi meravigliosamente malinconici e sporchi creati da Pizzolatto che fanno da contorno a più di una storia drammatica vero motore di una narrazione comune in tutte le stagioni di questa serie.
Un motore che finalmente può respirare e può farsi vedere senza il sentore paranormale della prima stagione o l'eccessività della seconda che utilizzava il sesso o la violenza come copertura per la propria retorica.
Una retorica che si vede anche qui ma che riesce ad essere più accettabile anche grazie alla situazione del nostro protagonista tediato da una malattia che lo porta a scordare le cose e che quindi lo rende perfetto per ripercorrere più volte la stessa strada come vuole lo stesso Pizzolatto.

Quindi sì, abbiamo ancora una volta più piani temporali e una coppia di detective e un enorme uomo bianco cattivo ma nulla è come sembra e tutto torna dove dovrebbe tornare.
Il tempo è un cerchio, le storie si ripetono come la bravura dei due attori protagonisti ma lo svolgimento cambia, il finale si muove su linee più tenui e a rimanere sulla scena è la storia d'amore di due persone che non sanno veramente come amarsi e quella d'amicizia tra due persone che più di una volta si sono allontanate e tutte quelle volte hanno perso qualcosa.

Se volete il meglio di "True detective" questa terza stagione è ciò che fa per voi.

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venerdì 22 febbraio 2019

La prima serata di canale Cinque tra reality e serie TV


Qualche tempo fa decisi di scrivere sul mio Twitter, più per scherzo che per altro, che Mediaset stava cercando di ritornare rilevante in prima serata grazie al prossimo debutto, all'epoca, di "Adrian" e di "La dottoressa Giò".
So benissimo che l'azienda di Berlusconi non è mai uscita dalla prima serata grazie ai suoi reality ma vedere un qualcosa di diverso dal Grande Fratello o da uno show di Maria, un qualcosa legato alla serialità televisiva di fiction era a tutti gli effetti una rivoluzione.
Non avrei mai detto però che il mio tweet sarebbe stata una sorta di specchio della realtà che presto si sarebbe realizzata.

Dall'annuncio del ritorno di "La dottoressa Giò" infatti abbiamo visto la pubblicità di una nuova serie dopo l'altra, tutte in prima serata, tutte di Domenica, tralasciando "Adrian", e tutte con, bene o male, attori di primo piano.
Greta Scarano, Giorgio Pasotti e per fino la D'Urso sono stati scelti per essere protagonisti, insieme ai loro co protagonisti o comprimari, di prodotti se non rivoluzionari quantomeno interessanti e curiosi dal punto di vista del marketing.
Allo stesso tempo si è deciso di dare spazio, un grosso spazio, ad "Adrian" che per quanto sia brutto per il panorama televisivo italiano è un qualcosa di veramente rivoluzionario.

A muovere il colosso televisivo verso questa scelta aziendale sono stati più fattori insieme.
Per prima cosa abbiamo la continua anche se molto lenta discesa dei reality che hanno bene o male dominato il palinsesto della rete ammiraglia Mediaset da tre anni a questa parte ma che ormai continuano a perdere colpi e che proprio per questo al momento o stanno collassando o sono stati messi in pausa: il GF è stato bloccato per il momento mentre l'Isola della Marcuzzi sta soffrendo ogni singola sera in cui è in onda.
L'unica nota positiva in questo frangente è stato l'ottimo riscontro avuto con l'ultima edizione di "Temptation island VIP" che tuttavia era alla prima edizione e poteva, molto probabilmente, avere una marcia in più per via dell'effetto novità.
Come i reality a scendere piano piano negli ascolti sono anche i talent di Canale Cinque che con "Tu si que vales" e "Amici" si sono sempre difesi bene e continuano a farlo ma anche lì piano piano vediamo delle crepe che non possono essere alto che evidenti segnali di una discesa sempre più annunciata e mai veramente analizzata e risolta.
Ad unirsi a questa discesa abbiamo anche "Scherzi a parte" che non ha minimamente convinto il pubblico al suo ritorno.
Problemi in prima serata che devono essere avvicinati alla continua sconfitta dei film in prima visione mandati in onda nelle serate vuote che non riescono ad attirare il pubblico.

In mezzo a tutta questa mancanza di "forza" in prima serata le uniche vere certezze o quantomeno piccole sorprese sono arrivate dal settore fiction.
Se infatti tre anni fa, mentre andavano forte i reality, abbiamo visto le novità, "Amore pensaci tu", e le vecchie glorie, "L'onore e il rispetto 4", nel campo fiction cadere rovinosamente di recente queste sono tornate ad essere un prodotto su cui puntare.
La stessa Rai, infatti, sempre molto lontana dal mondo del reality si è immersa in questo mondo sbaragliando piano piano i prodotti Mediaset e costringendo il Biscione a fare lo stesso cercando anche di farlo con una certa intelligenza.
Durante il 2017/2018 abbiamo visto Canale 5 cercare di parlare al pubblico amante della serialità televisiva con prodotti innovativi per la nostra televisione: abbiamo visto uno spin off, la serie dedicata a Rosy Abate, una serie tratta da un film, "Immaturi", e l'uso di un personaggio noto al pubblico generalista ma anche a quello del web viste le sue ultime uscite con "L'isola di Pietro" che ha Gianni Morandi come protagonista.
Un trittico che unito ai reality ha dato respiro alla compagnia di Berlusconi e che ha dimostrato quanto si possa contare su prodotti di questo tipo.
Prodotti che però sono stati messi nell'angolo alla fine della scorsa annata televisiva e all'inizio di questa dando la possibilità ai reality di farsi valere salvo non riuscirci.

Così, dopo qualche mese, abbiamo visto Canale Cinque iniziare a puntare nuovamente su questi prodotti, sempre con un marketing più estero che nostrano, non riuscendo ad avere un vero e proprio riscontro però.
I due prodotti che hanno seguito i reality forti di Canale Cinque sono stati "Adrian" e "La dottoressa Giò" e non sono riusciti a mantenere alta l'attenzione del pubblico tuttavia questi "flop" sono spiegabilissimi.
Parlando di "Adrian" è evidente che a mancare, oltre alla qualità vera del prodotto, è la presenza effettiva di Celentano, grosso neo a detta di molti spettatori, e il fatto che il pubblico più grande, quello più vicino al cantante, non sia minimamente interessato ad un cartone o non riesca neanche a capire il perchè della produzione.
Insomma: un disastro annunciato bastava solo fare una semplice indagine di marketing.
Per quanto riguarda "La dottoressa Giò" è evidente che Mediaset volesse provare la via del revival tanto cara agli americani salvo che le precedenti stagioni non le abbiamo più viste in TV dopo la loro prima messa in onda e quindi il prodotto stesso è lontanissimo dal pubblico che guarda ora la D'Urso.
Un pubblico che in parte ha effettivamente visto la serie ma non abbastanza per renderlo un successo e magari il tutto è anche dovuto alla figura della D'Urso stessa lontana dal pubblico seriale italiano.

Fortunatamente però ci si sta allontanando da questo trend "scadente" e oltre al riproporre successi annunciati come "Chi vuol essere millionario?" o "Uomini e Donne - La scelta" legati ai game show o al dating più seguito d'Italia si è deciso di puntare sull'idea degli adattamenti di serie estere, al momento parliamo solo di serie TV inglesi, altra mossa un particolare per il nostro mercato.
Abbiamo avuto, ha debuttato una settimana fa, il remake di "Liar" chiamato da noi "Non mentire" con la Scarano e Preziosi che appena finirà verrà seguito dal remake di "Broadchurch" con la Angiolini e Pasotti.
Insomma, utilizzando attori di primo piano si sono presi prodotti molto apprezzati dal pubblico estero da adattare per portare una ventata di novità ed i primi dati d'ascolto, quelli di "Non mentire" sono stati molto incoraggianti imitando la Rai che di recente, come abbiamo detto, si è fatta avanti allo stesso modo.

In definitiva la nuova prima serata di canale Cinque, anche se all'inizio, sembra stia portando i primi risultati anche se si dovrà analizzare a Marzo quando anche la Rai porterà un peso massimo sul suo canale con l'adattamento di "Il nome della rosa".
Vedremo, cosa accadrà.

Ringraziamo Trash Italiano per aver fornito i dati.


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mercoledì 20 febbraio 2019

The Umbrella Academy - Meglio profondo o strambo?


"The umbrella academy" non è un fumetto adatto a tutti.
Parliamo di un fumetto un po' bambinesco, strambo sin dal principio e evidentemente figlio di una mente articolatissima ma anche molto legata alla propria infanzia ed adolescenza.
Un mio amico, senza molti giri di parole, l'ha definito una cafonata e potrebbe anche starci se solo si riconoscesse prima che è l'espressione di uno stile e di una personalità ben precisa.
Proprio per questa sua unicità "The umbrella academy", secondo me, è uno di quei prodotti che, come "Under the dome", poteva essere preso ed essere adattato parola per parola, limando alcune cose e limitandone altre, creando un'opera fedelissima e non adatta a tutti ma tremendamente bella.
Netflix però non ha preso questa decisione, ha deciso di muoversi diversamente, di cambiare non solo la storia ma anche tutta l'impostazione creata da Way colmando alcune evidente lacune della sua parte fumettistica ma allontanandosi quanto basta per creare un prodotto diverso e, proprio per questo, ho cercato di giudicare questa serie TV individualmente senza farmi condizionare.
Penso di averlo fatto avendo trovato i primi episodi interessanti e non potendo dire nulla sulle caratteristiche stilistiche e tecniche tuttavia a me "The umbrella academy" non è piaciuta.
Tralasciando i paragoni con il fumetto, forse farò un articolo dedicato, io non sono riuscito ad apprezzare pienamente l'ultima serie TV Netflix.

Il primo Ottobre del 1989 una serie di donne partorisce, peccato che nessuna di queste all'inizio della giornata fosse incinta.
Sette di questi bambini vengono adottati da un anziano facoltoso e vengono allevati come se fossero dei supereroi avendo anche poteri speciali.
Nasce così l'Umbrella Academy: un gruppo di bambini speciali che vive sotto lo stesso tetto come una normale famiglia e nel tempo libero salva il mondo.
Piano piano però i sette bambini crescono, cercano la propria individualità negata sino a quel momento, Ellen Page ha un piccolo monologo su questa cosa, e coltivano la propria unicità e le proprie singolarità allontanandosi più o meno bene dalla casa d'infanzia e dal padre adottivo che scopriamo essere un essere spregevole o comunque poco adatto all'amore.
La serie Netflix inizia anni dopo la definitiva divisione dei sette ormai adulti costretti a ritrovarsi all'annuncio della morte del capofamiglia.
Mentre vediamo questa famiglia ritrovarsi scopriamo anche alcuni dei loro segreti, iniziano a vedersi i motivi che hanno portato alla loro divisione e, nello stesso tempo, sono costretti a lavorare insieme per evitare la fine del mondo.

In dieci episodi i drammi personali e le introspezioni psicologiche vengono mischiate a più di una sotto trama creando un intreccio che bene o male arriva a slegarsi in un finale niente male proiettando l'intero cast verso una seconda stagione in arrivo anche se non ancora annunciata.
Ad essere sotto i riflettori, in quello che dovrebbe essere almeno ad una prima occhiata una serie supereroistica, non sono quasi mai azioni eroiche o combattimenti particolari, che quando ci sono sono veramente notevoli, ma i drammi e le riflessioni dei nostri eroi che seppur interessanti più di una volta iniziano un filone narrativo e non lo portano a termine o se lo portano a termine poco lasciano allo spettatore per un motivo o per l'altro.
Allo stesso tempo però la moltitudine di filoni narrativi non sono divisi equamente tra i protagonisti, Luther ne ha uno massimo e per lui è un vero spreco, e chi ne ha più di uno si ritrova un po' a rivivere sempre le stesse cose, Klaus vive due volte una sorta di disintossicazione, o a non vivere quasi nulla, Allison non è quasi un personaggio, ed il tutto, secondo me, dimostra come la serie non sia perfettamente bilanciata.

Questa mancanza di equilibrio è un qualcosa che ha pesantemente danneggiato la visione del prodotto.
Decidendo di seprare la famiglia in singoli individui o in gruppetti ha effettivamente inframmezzato le storie e dil tempo di esposizione sullo schermo solo che il tutto non è stato fatto per bene.
Posso anche essere toccato dalla storia iniziale di Diego ma questa sparisce dopo un episodio e c'è bisogno di "riaffondare il dito nella piaga" andando a creare una sorta di replay della storia precedente senza però fare nulla di nuovo e non mostrandone i risultati.
Allison poteva avere un'evoluzione interessante peccato che arrivi ad un punto di svolta a due episodi dal finale e poi non si possa più frenare su di lei per ovvi motivi.
Per di più è un po' impossibile la sua non morte ma lasciamo perdere.
Dì Luther e di Klaus abbiamo già detto tutto ma potrei continuare, bene o male, per tutti gli altri personaggi che hanno o una mini storia all'inizio e poi questa si perde o finisce e non lascia nulla.
Era davvero necessario dare tutto quello spazio ai due assassini temporali?
Piacciono a qualcuno?

Ad avere l'evoluzione più grande anche se in modi diversi sono i due personaggi meno appariscenti in prima battuta: la Numero 7 di Ellen Page e Numero 5.
Purtroppo anche per loro due ho dei problemi.
Se la storia di Numero 5 viene rivelata un po' troppo presto o troppo tardi, non riesco a decidermi, non ho sinceramente apprezzato il fatto che venga cancellato un intero episodio grazie a lui come se la cosa dovesse darci qualche informazione segreta in più sui personaggi salvo poi rivedere le stesse identiche cose.
Allo stesso tempo è convinto di alcune cose senza una vera e propria base, l'occhio di cui cerca il proprietario può essere di chiunque, o cerca di salvare il mondo da solo per motivi ben precisi salvo che solo successivamente si rende conto di poterlo fare con la sua famiglia per una serie di motivi abbastanza chiari a chiunque abbia mai visto un film sui viaggi nel tempo.
Infine passiamo ad Ellen Page l'attrice più brava del gruppo che proprio per questo, per me, ha la storia migliore dell'intera serie anche se questa non viene portata perfettamente a compimento.
Lei ha l'arco narrativo più articolato, partendo da una posizione di pura inutilità passando per la tristezza e la rabbia e finendo con essere il personaggio più importante della serie.
Ellen Page si dimostra perfetta per empatizzare con il pubblico, per essere come noi se vivessimo nella stessa famiglia di un supereroe e funziona sino agli ultimi due episodi in cui prima la sua famiglia prende una decisione poco comprensibile visto come lei stessa si pone con loro e poi è lei a fare cose poco chiare.
In sostanza abbiamo l'arco narrativo per l'attrice più talentuosa che finisce in vacca perché abbiamo delle azioni leggermente forzate o inutili messe lì e la cosa non mi piace.

Ad essere forzata o senza molte spiegazioni o conseguenze mi è sembrata un po' tutta la serie che mette insieme una serie di storie una dietro l'altro salvo che queste si ripetono o, invece, non portano a nulla ed il tutto è un peccato.
Sono convinto che se avessi visto una serie con gli stessi momenti di riflessione avendo però come trame da seguire solo quella dell'apocalisse, quella di Numero 5 senza la Commissione e quella di Numero 7 avrei adorato questa serie.

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lunedì 18 febbraio 2019

The Screenwriters Room 5 - "Non mentire": i punti di vista


Parlare di uno stupro non è mai una cosa facile.
Anche io, ora, che ne sto parlando "per finta" devo stare attento alle parole che uso perché parliamo di un qualcosa che ferisce profondamente una persona e, probabilmente, la cambia per sempre.

Non è difficile parlare di uno stupro per definirlo però: se tu fai forza su una ragazza per avere da lei un rapporto sessuale quello è stupro.
Se la ragazza ti dice di no e tu continui è stupro.
Se la ragazza cerca di fermarti anche leggermente e tu continui è stupro.
Se la ragazza è leggermente annebbiata dall'alcoll e tu, invece, sei sano e fai presa su di lei è stupro.
Non stiamo parlando di una zona grigia ma solo di un enorme spazio nero in cui finiscono tutte queste azioni e anche di più.
Purtroppo c'è ancora qualcuno che vorrebbe far valere una cosiddetta zona grigia, che crede che ci sia uno spazio di manovra dove non c'è.
Allo stesso tempo, il Movimento #MeToo ci ha anche insegnato che l'opinione pubblica, la maggior parte delle volte, si attiene alla prima denuncia, senza fare i dovuti riscontri andando a non calcolare mai che una determinata persona denunci uno stupro che non c'è mai stato per i motivi sbagliati.
Perché esiste anche che qualcuno possa fare una cosa del genere purtroppo.

Seguendo le vittime ed i carnefici, coloro che si discolpano e quelli che incolpano, vivendo su quella sottile linea grigia che nasce durante le indagini e in assenza di flagranza del reato, moralmente sbagliata ma civilmente seguibile, Mediaset decide di produrre il remake di "Liar", serie TV inglese ed americana andata in onda sul Nove un anno fa e che non ho visto, italianizzando il titolo, "Non mentire", e mettendo sullo schermo due attori meravigliosi ed avanti anni luce rispetto alle loro controparti estere: Alessandro Preziosi e Greta Scarano.

Preziosi e la Scarano interpretano due conoscenti, lei è l'insegnante del figlio di lui, che decidono di andare a cena insieme e di passare una bella serata sino alla mattina dopo, quando la Scarano si sveglia e si accorge di aver subito una violenza sessuale.
Noi, inizialmente, non vediamo l'appuntamento e la seguente vicenda dentro l'appartamento della donna ma veniamo subito trasportati alla mattina dopo.
Mentre lei è convinta di aver detto più volte di non voler continuare con il rapporto e, quindi, di aver subito violenza lui se ne allontana, si dimostra impaurito e, sin da subito, gentile ed estraneo ai fatti.
Sin dai suoi primi minuti "Non mentire" fa quello che aveva come obiettivo: mette due storie parallele, una di fronte all'altra, entrambe verosimili e splendidamente sorrette da due attori capace di mostrarsi innocenti e sinceri in ogni singola scena.
Ci mostra due lati della stessa media e ci chiede di scegliere solo che non possiamo farlo veramente perché entrambi sembrano perfetti: sembra quasi di osservare due storie diverse e non due idee di quello che è successo come accadeva in "The affair".

Inizialmente viviamo il risveglio di Greta Scarano, la sua disperazione e la sua confusione legata a quello che è successo e a ciò che lei stessa ha subito.
La Scarano si incolpa, si fa delle domande e si autocritica.
Va dalla sorella, la persona che l'aveva indirizzata verso Preziosi, e questa la mette in dubbio, cosa sgradevole ma che comunque viene fatta in questi casi.
La nostra protagonista però non ha dubbi e oltre ad addossarsi una parte della colpa rimane sicura di essere stata vittima di un crimine odioso e noi siamo d'accordo con lei.
Il vedere, almeno inizialmente, solo la sua parte della storia e seguendo la mentalità comune siamo inclini a crede alla ragazza, vittima della violenza e a vedere in Preziosi il villain della situazione.
Continuiamo a pensarla così quando la vediamo in ospedale sotto le mani dei dottori per le prime analisi, quando decide di fare la denuncia e quando cerca di farcela da sola.
In pochi passi abbiamo la nostra eroina per cui tifare ed il poco tempo lasciato a Preziosi, in questa prima fase, è evidentemente mirato a farci fidare della Scarano perchè la conosciamo di più e a farci diffidare di lui perchè non l'abbiamo visto mai veramente.

A quel punto però passiamo al protagonista maschile della vicenda che, tuttavia, si mostra gentile, tranquillo, timoroso e anche molto schivo quando gli vengono fatte delle domande precise rispetto all'appuntamento della sera prima da un suo amico: tutti comportamenti che nessuno attribuirebbe mai ad uno stupratore o ad un predatore.
Addirittura non abbiamo una confessione riguardo al rapporto sessuale prima di una serie di scene e di domande molte stringenti: sembra quasi che si stia "comportando da gentiluomo" se permettete l'espressione.
Se già questo è abbastanza per farci vacillare lo osserviamo prendersi amorevolmente cura di un paziente, non vediamo solo l'intervento ma anche il rapporto umano tra lui e i parenti del paziente, e poi lo vediamo davanti ai poliziotti in un interrogatorio: sembra non avere idea di quello che sta succedendo e addirittura trema.
Preziosi risponde colpo su colpo alle domande dei poliziotti, lo fa in maniera cristallina e tira un sospiro di sollievo quando il suo avvocato viene a salvarlo: non sembra esserci nessuna malizia nella sua voce o sul suo volto.
Quello che inizialmente è stato fatto per Greta Scarano viene rifatto per Alessandro Preziosi e i primi fotogrammi in cui lo vedevamo protagonista, durante il racconto della ragazza, in cui sembrava avvolto nell'ombra non esistono più e quello che ci rimane è un uomo confuso, che non sa cosa ha fatto e che rimane così anche quando decide, stupidamente, di andare a parlare con la donna che l'ha accusato.

Lo scontro tra i due è il primo punto di rottura della serie, il momento in cui iniziano a muoversi tutti gli altri personaggi ed il punto in cui iniziamo a dubitare di entrambi.
In primis iniziamo a dubitare di Preziosi che torna ad essere inquadrato mentre ha il volto scuro, arrabbiato e mentre siede o è avvolto nell'ombra.
Non c'è una luce che lo sfiora: sembra nato per vivere sotto l'assenza di luce.
Odiamo le sue parole quando decide di confrontarsi con la Scarano perché ci sembrano viscide, sembra che stia puntando il dito e sembra che stia giudicando anzi, lui sta giudicando e questo ci da fastidio.
La Scarano però inizia a starci leggermente "antipatica" perché si è fatta prendere dalla rabbia, decide di muoversi da sola e di mettersi e mettere la gente intorno a lei nei guai andando a prendersela con chi magari non c'entra nulla.
Durante lo scontro/incontro è lei ad urlare, ad accusare Preziosi e a prendersela con il figlio di lui senza nessun vero e proprio motivo.
Abbiamo una reazione da parte sua ma ci sembra sbagliata perchè non colpisce direttamente colui che gli ha fatto male.
Piano piano, mentre aumentano le scene in cui Preziosi non viene illuminato da nessuna fonte di luce abbiamo una Scarano che, al contrario, vive fuori dagi spazi chiusi, è sempre all'aperto, sempre in movimento e sempre carica a mille facendoci sorgere il dubbio che forse ci sia qualcosa che non va in lei e che magari non si tratta solo dello stupro.

"Non mentire" parte da una semplice premessa salvo riuscire a costruirla perfettamente, attimo dopo attimo e scena dopo scena.
A primo impatto abbiamo due persone normali che ci piacciono, successivamente proviamo rabbia per la situazione di una biasimando l'altra salvo poi ribaltare questo giudizio per finire in una confusione finale verso entrambi i protagonisti.
Al momento è impossibile sapere chi abbia fatto cosa.
Bel lavoro Mediaset, bel lavoro.



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venerdì 15 febbraio 2019

Plus One 16 - Dating Around


Lo so, forse è un po' strano dedicare un intero articolo, anzi parliamo di un numero di una delle mie rubriche, ad un reality ma, infondo, perché no?
Questa volta baro un po' sull'idea di "Plus One" perché ho visto più di un episodio però questi prodotti seguono uno schema ben preciso che rimane identico di puntata in puntata.

"Dating around" è uscito il 14 Febbraio su Netflix e per più di un motivo dovrebbe essere un esperimento per dimostrare che esiste un modo diverso per creare questo tipo di televisione.
Non sapete di cosa sto parlando?
Date un occhiata al trailer  che vi lascio qua sotto e lo capirete.


Ok, oltre alla solita formula tipica di questi programmi che cosa notate sin da subito?
Esatto, l'enorme qualità della produzione che normalmente per i programmi di questo genere rimane abbastanza bassa e si mantiene su l'uso di una serie di videocamere modeste.
Non abbiamo riprese elaborate o cinematografiche e normalmente la luce e la fotografia non sono particolarmente curate rimanendo sulla soglia della comodità.

Questa volta però Netflix ha deciso, sorprendentemente di investire qualche soldo in più e di creare un reality che sembra, senza sè e senza ma, una serie TV romantica che racconta le "avventure" di un gruppo di single durante il loro primo appuntamento.
A rinforzare questa atmosfera da "telefilm" è la sigla iniziale che dopo aver raccontato brevemente l'idea alla base del programma, cinque primi appuntamenti e poi un solo secondo incontro con uno dei cinque, presenta i single che incontreremo come se fossero attori di una serie qualunque con tanto di fermi immagine.
Insomma, se non l'avessero presentato come un reality mi sarei fatto alcune domande.

Passati i primi minuti di stordimento, che in realtà non passano mai visto il montaggio frenetico e anche molto discontinuo, alcuni appuntamenti non li vedi per niente anche se vengono portati avanti per un po', "Dating around" continua a non convincere perché rimane superficiale e, proprio come un primo appuntamento, non ti permette veramente di appassionarti e quindi rimani freddo e anche confuso nel vedere queste persone magari baciarsi o tenersi la mano.
Il loro imbarazzo viene moltiplicato al tuo e rimane un imbarazzo impersonale perché avendo così tanti appuntamenti nello stesso momento nessuno viene approfondito e quindi è impossibile, per lo spettatore, capire se vorrebbe vedere questi due single uscire ancora insieme.

I reality non dovrebbero essere trattati come delle serie TV e dovrebbero essere in grado di farti entrare in contatto con la persona sullo schermo e non farti dire:"Mi sembra un attore"

Voto Plus One: 5
Oltre a non avere una formula vincente, almeno per me, il grosso livello produttivo rende ancora più finto il tutto, cosa che normalmente accade pure per un reality normale, vanificando qualsiasi interesse nello spettatore.
Diciamo che la prima puntata passa, volete vedere la seconda per capire bene come funziona ma poi spegnete la TV.



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mercoledì 13 febbraio 2019

Io sono Mia - Una musica straziante


Se c'è una cosa che mamma Rai ha sempre saputo fare, nel mezzo di tutti i suoi guai ed errori, sono i biopic.
Detti anche film biografici i prodotti Rai di questo tipo sono dei veri e propri capolavori nascosti in bella vista di cui si sente poche volte parlare.
Che siano delle serie TV o dei film veri e propri abbiamo delle realizzazioni, vere o romanzate, tremendamente forti e passionali che riescono a prendere una persona più o meno nota mettendola al centro della scena e facendo un meraviglioso lavoro di caratterizzazione.

Così come successe un anno fa con la serie dedicata a De Andrè la nostra TV pubblica ha deciso di trasmettere subito dopo Sanremo, seguendo un filone musicale se vogliamo, il film dedicato a Mia Martini dopo un brevissimo passaggio al cinema.
Una messa in onda molto fortunata direi visto il grosso dato d'ascolto: parliamo del 31% battendo tutte le altre reti.
Questo record potrebbe essere dovuto alla pubblicità avuto durante il festival stesso o, semplicemente, il grande pubblico ha deciso di premiare un prodotto veramente ben fatto.

Ad interpretare la nota cantante è stata Serena Rossi che è passata dall'essere un'attrice feticcia dei Manetti Bros, ad una delle voci più riconoscibili nel mondo dell'animazione, "Frozen" vive in Italia grazie a lei, sino a questo vero e proprio successo di critica e pubblico con un ruolo che riesce, ancora, ad unire le sue doti canore ed interpretative perfettamente.
La Rossi rimane in scena dall'inizio alla fine, durante tutti gli anni di vita della Martini tralasciando le scene in cui è una bambina, dimostrando di essere capace di tenere "il palco" meravigliosamente e di saper interpretare, senza problemi, un personaggio che per gli americani sarebbe definibile con l'espressione "larger than life".

Ad aiutare la giovane attrice sono stati sicuramente il cast di supporto, capace di mettere in scena le idee e i sentimenti del pubblico a casa, e il team degli sceneggiatori impossibilitati ad utilizzare tutti i nomi veri ma bravissimi nel descrivere la vertiginosa discesa nella disperazione e nel dolore della famosa cantante che più per l'ìnvidia e la stupidità altrui che per il suo caratteraccio sul lavoro ha affrontato molti momenti difficili.
Dobbiamo proprio alla combinazione di questi due elementi la forza di questo film che vive sul volto e, soprattutto, nella voce di Serena Rossi ma si muove grazie al cast di supporto, Nina Torresi e Dajana Roncione su tutti, che sorregge e smuove Mina quando ce n'è bisogno dicendo ciò che noi vorremo dire e impuntandosi quando noi vorremmo impuntarci e alla sceneggiatura che gira intorno al più grande problema che la Martini abbia mai avuto, le voci che giravano sul suo conto, sino ad un climax nel pre finale che ci fa provare una grossa fitta al cuore soprattutto durante una scena in un bar.

Unica nota negativa, almeno per me, è stata la decisione di non concludere il film con la morte della Martini, forse per dare una sorta di lieto fine allo spettatore o per via delle poche notizie certe sulla sua morte, ma di farlo con il suo più grande ritorno a Sanremo.
Certo, il lato drammatico dell'intera vicenda viene effettivamente risolto e chi guarda ne esce sollevato ma basta aspettare i titoli di coda per subire la botta finale: insomma, si è stati un po' infami secondo me.

Tolta questa piccola parte negativa non posso dire altro perché è stato tutto perfetto e straziante.

Mi dispiace Mia.

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#Cinema
#IoSonoMia

lunedì 11 febbraio 2019

Lasciate in pace Mahmood



Basta.
No veramente, smettetela.
Smettetela con la pantomima del multiculturalismo forzato o con la sinistra che al comando in Rai decide di dare la vittoria ad un egiziano.
Smettetela perché lui non è manco egiziano porca eva.
Lui ha solo il padre egiziano che manco sente più.
Finitela.

La realtà è che vi disturba perché siete ignoranti.
Vi disturba perché lo credete egiziano solo per il colore della pelle ed il cognome straniero anche se si chiama Alessandro.
Vi disturba come vi disturba Achille Lauro che è un criminale drogato solo perché ha i tatuaggi sulla faccia.

Vi disturba perché siete superficiali e basta.
Vi disturba perché siete razzisti.

Oppure vi disturba perché siete completamente flippati e non vi rendete conto che Ultimo era cosciente del regolamento e sapeva a cosa andava incontro.
Certo, non sono neanche io d'accordo sul fatto che uno debba pagare il televoto sul servizio pubblico ma appellarsi ora ad un regolamento visto e stravisto mi sembra una mossa discutibilissima e anche molto poco coerente con la realtà che ti circonda e che hai vissuto sino a poco tempo fa.

Fate godere ad un ragazzo il suo premio e basta.



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#Editoriale
#Sanremo
#Mahmood

venerdì 8 febbraio 2019

Adrian 1X01,02,03,04 - Madonna mia che casino


In un mondo parallelo, probabilmente, Celentano ha prodotto questa serie TV tantissimi anni fa, l'ha fatto con un buon studio d'animazione e ha sbancato creando un prodotto capace di emozionare e di svegliare le coscienze.
Noi però non siamo su quella Terra parallela e Celentano ha fatto una cazzata clamorosa.

Oltre alla serie infinita di intrighi e caos dietro la realizzazione della serie, cercate su internet e fatevi quattro risate, è evidente che tutto questo baraccone è arrivato male e in ritardo.
Proporre una roba del genere nel 2018 non solo è una mossa completamente folle dal punto di vista del marketing ma anche dal semplice contatto con la realtà.
I messaggi sono datati, l'animazione è un completo dramma che fa sanguinare gli occhi e più si va avanti nella serie più ci si rende conto che Celentano si stava facendo una sega su se stesso mentre metteva insieme questo prodotto che, al momento, presenta quattro versioni diverse di sè stesso.
Disagio.
"Adrian" è solo disagio.

Un disagio che non può essere minimamente visto seriamente e chiunque lo osanni è evidentemente una persona cieca e sorda incapace di avere un proprio pensiero critico.
State tranquilli: questa volta odiare una cosa che odiano tutti è sintomo di sanità mentale.

Diventa, ora, anche difficile capire quale fosse l'obiettivo di "Adrian".
Se da una parte è evidente la critica verso la società attuale ci sono dei punti veramente patetici come l'odio verso i centri commerciali e la gente che si sdegna per una mela andata a male o con la pubblicità troppo presente.
Insomma cose da una parte banali e dall'altra ridicole perché tremendamente lontane da noi.
Allo stesso modo la rappresentazione del governo dispotico e della mafia sono semplicistiche e stupide come sono stupidi i villain della serie che dovrebbero essere spaventosi perché capaci di manipolare la gente ma troppo stupidi per farlo.
Il mondo di Adrian è quello di una società corrotta dal consumo e dalla tranquillità peccato che quel momento l'abbiamo sorpassato alla grandissima e l'intera storia diventa obsoleta.

I personaggi tra loro non dialogano.
Le storie continuano senza senso e senza una vera e propria direzione con duemila giri logici diversi e anche troppo astrusi.
Follia probabilmente ma, molto più evidentemente, la voglia di fare un qualcosa di intelligente salvo non avere la capacità di farlo.
L'unica nota "positiva" del prodotto che aumenta il grado di disagio è la figura stessa di Celentano presente in qualsiasi veste nell'ambito produttivo e stra presente nella serie interpretando quattro personaggi diversi senza una vera e propria ragione.

Rimane evidente come sia la passività della gente il vero obiettivo di Celentano salvo che sia impossibile smuovere chiunque quando, per la maggior parte del tempo, ti guardi allo specchio nel farlo.



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mercoledì 6 febbraio 2019

Russian Doll - Il solito time loop però rivoluzionato


Credo che l'espressione "rivoluzione" possa essere declinata in vari modi ed avvicinata al nome "Netflix" senza nessun problema.

Netflix ha rivoluzionato il settore della serialità televisiva.
Netflix ha rivoluzionato il mercato audiovisivo con il suo sistema di produzione e di rilascio.
Netflix ha rivoluzionato il modo di trattare con le grandi major o i grandi del settore.
Netflix ha rivoluzionato l'idea di universo condiviso diventando una succursale per le serie Marvel Disney.

Netflix, questa volta, ha rivoluzionato l'idea del "time loop", del giorno che si ripete senza sosta e senza fermarsi, normalmente usata come strumento narrativo per schiudersi in una modifica interiore del protagonista, creando un racconto che parla di questo esatto loop e che, bene o male, non porta a nessun cambiamento nei nostri protagonisti.
"Russian doll" infatti è un prodotto che letta solo la sinossi sembra molto semplice: Nadia è una ragazza normale che mentre sta festeggiando il suo compleanno, insieme ad amici e parenti, si ritrova in un loop temporale impossibilitata ad uscirne sino all'incontro con un'altra persona che l'aiuterà.
Nessuno si aspetterebbe un colpo di scena rispetto al solito schema e questo materialmente non c'è perché il punto della discussione, come ho detto, viene spostata sullo strumento di narrazione in sè e non sull'evoluzione dei protagonisti.
La voglia di rendere però il "gioco temporale" una parte viva del racconto e non un semplice strumento è però il vero colpo di scena.

Così, bilanciando una battuta ed una scena creepy o drammatica la nuova serie Netflix vola tranquilla, anche per via delle sue puntate limitate, sino ad un pre finale che già di suo è un semi colpo di scena e poi chiude baracca e burattini in maniera perfetta.
"Russian doll" scivola come l'olio, senza mai fermarsi e, soprattutto, lo fa con cervello.

Unica pecca della serie, secondo me, è la performance di Natasha Lyonne ma non perché non mi piaccia come attrice, la trovo strabiliante, ma perché, con i dovuti limiti, interpreta lo stesso personaggio che fa in "Orange is the new black" e questo mi spiace ritenendola in grado di fare molto meglio.

Ancora una volta Netflix ha rivoluzionato qualcosa.

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