"Sulla mia pelle" è un film perfetto.
Senza una scena fuori posto o una battuta sotto tono.
Con un ritmo continuo e mai calante anche se veramente impossibile da definire perché non sempre in crescita: altalenante e comunque distruttivo.
Senza un qualcosa che sia troppo ma solo il giusto.
Alessio Cremonini dirige una storia che gli sta particolarmente a cuore, la delicatezza nella messa in scena lo dimostra, cercando di far capire a tutti che cosa può aver passato un povero ragazzo nelle mani di chi doveva proteggerlo ma non ha voluto.
Alessandro Borghi non interpreta ma diventa Stefano Cucchi, è la stessa sorella a dirlo, perché, probabilmente, sente che poteva capitare anche a lui ciò che è capitato a Stefano se solo avesse fatto scelte diverse.
Lo fa utilizzando una voce diversa da quella che ha usato in ogni sua comparsa sullo schermo e con uno sguardo che, alle volte, avvicina Stefano ad un bambino che ha paura perché non sa che cosa gli accadrà.
Jasmine Trinca, Max Tortora e Milvia Marigliano interpretano la famiglia di Stefano salvo mostrare sin da subito, sul loro volto, il dolore e il peso del ruolo che stanno interpretando come se i loro personaggi fossero consapevoli di ciò che sta per accadere.
Cremonini scrive un film che non vuole mostrare ciò che non è stato dichiarato in tribunale per esteso, il pestaggio di Stefano in una stanza della stazione di polizia, anche se magari a tutti è chiaro e, allo stesso tempo, non fa sconti neanche alla vittima dell'intera vicenda che come ogni persona, perchè Stefano era prima di tutto una persona, nasconde dei segreti e sbaglia.
Quasi come se fosse un documentario osserviamo le ore che passano, i posti in cui Stefano viene portato, chi vive a Roma sa quanto i vari luoghi tra di loro siano lontani, senza mai fare un passo in più, senza abbellire o sporcare le scene: l'obiettivo del film non è vedere cosa è successo a Stefano ma viverlo.
Così le scene in cella sono scure e le nottate al pronto soccorso sono solo illuminate da una piccola luce che è lo stesso Stefano ad accendere e a spegnere.
In un film senza molti fronzoli, che neanche ci fa vedere i genitori di Stefano appena scoprono il volto del loro figlio deceduto ma ce li fa solo sentire perché basta così, Borghi ha campo libero per dare il meglio di sé e, forse anche per la consapevolezza che si sta assistendo ad una storia vera di cui tutti conoscono il finale, l'intero film fa male.
"Sulla mia pelle" fa un male cane.
Fa male non perché vuole farlo ma perché è la storia in sé a farlo e vederla davanti ai nostri occhi amplifica il dolore.
Vedere Stefano vivere i suoi ultimi giorni è come essere colpiti da un pugno nello stomaco non una ma tantissime volte.
Ogni scena amplifica il dolore, la commozione e spezza piano piano l'animo dello spettatore impotente che vorrebbe cambiare il corso della storia ma non può perché ormai tutto è già successo.
Il dolore non sparisce neanche durante i titoli di coda, neanche quando il vero Stefano, in una registrazione, si fa sentire e non perché è Cremonini a volerlo ma perché fa male sapere che cosa è accaduto e, infondo infondo, ci fa anche vergognare di essere umani.
Il bello, se così si può dire, è che non vorremo mai chiudere gli occhi o stoppare la visione perché siamo coscienti che è un qualcosa che va fatto: per rispetto e per onore.
Alessandro Borghi, in una Storia su Instagram il giorno dell'uscita del film, chiedeva al pubblico di andare a vedere il film al cinema, non per far parte della polemica Netflix vs Cinema, affinché conclusa la visione ci si guardasse intorno, si incrociasse lo sguardo delle persone accanto a noi e si costruisse un legame costruito sul dolore, sul rimpianto e su ciò che si è appena visto perché questo film, secondo lui, aveva questa forza.
"Sulla mia pelle", secondo me, ha questa forza.
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Alla prossima!
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