Scrivere una storia vera e adattarla è comunque un compito difficile.
Scrivere una storia scritta solo qualche tempo fa è ancora più difficile.
Fare queste due cose insieme, riuscendo anche a stupire, è un qualcosa di quasi impossibile: "Trust" però riesce a farlo e anche bene.
Ambientata tra l'America e la Calabria, avvolta da un'aurea di favola e raccontata con uno stile che varia dal documentario al thriller a tinte noir la nuova serie di Danny Boyle segue una scia già tracciata prima di lui ma lo fa in maniera unica, con un narratore unico e con modi e stilemi unici, propri di una persona che sa cosa vuole fare veramente.
Attraverso la voce e il volto di Fraiser, il più delle volte, seguiamo tanti personaggi, uno diverso dall'altro, ognuno con una sua storia e un particolare concetto di fiducia che si sfilaccia, che si rompe o che si rinforza e si rinsalda.
Una storia più grande di quella dei Getty, Sutterland è chiaramente Gesù sceso in Terra per recitare, così tanto grande da essere contesa tra due lingue: il calabrese e l'inglese.
Una storia così grande che, addirittura, si mette alla prova con un singolo episodio tutto in dialetto con i sottotitoli.
Cosa mai vista prima se non dalla puntata giapponese di "Westworld".
Così, forse in una sola stagione, un'intera storia si chiude in maniera perfetta riuscendo anche a dare uno sguardo al futuro di tutti i protagonisti senza troppi sfoghi romanzeschi e volendo, subito, sfidare lo spettatore a guardare il vero finale su Google.
Perché Danny sa chi guarda la TV oggi.
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Alla prossima!
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