lunedì 30 aprile 2018

Quando il New Yorker è troppo snob per capire i supereroi che fanno a botte




Parliamoci chiaro ci sta che non ti piacciano i film Marvel.
Ci sta che non ti faccia impazzire l'idea di aver portato la serialità televisiva sul grande schermo e di avere tanti piccoli film quasi auto conclusivi e sempre più diretti verso un unico grande film.
Ci sta perché questo non è il cinema di 5 anni fa e non deve e non può piacere a tutti.
Questo ci sta e io lo capirei quello che però non capisco e che non ci sta è il fatto di essersi letteralmente persi il salto tra tutta l'industria e l'intero universo Marvel che è un diverso tipo di media e di ideale di produzione.

Questo è quello che evidentemente non è riuscito a capire  Richard Brody, recensore di film sul New Yorker, che nel suo pezzo sul film non riesce a spiegarsi perché "Avengers:Infinity War" non introduca nessun personaggio e si rifaccia alle storie dei film passati.
Brody non capisce perché ci siano così tanti personaggi sullo schermo e perché ognuno ha il suo spazio sullo schermo così tanto da fare un film in cui il singolo attore ha poco spazio.
L'intera recensione si lamenta che nel film ci si meni solo, che il cattivo sia un cattivo da fumetto e che il motivo dello scontro sia una roba da bambini.
Brody il film non lo capisce, lo disprezza perché non è un film singolo, auto conclusivo e perché è il seguito di tutti i film passati.

Brody, questa recensione, poteva evitare di scriverla.

Lo dico da fan, lo dico da amante del genere, lo dico da lettore di fumetti, lo dico da giovane e lo dico da persona che va al cinema e sta studiando il cinema: se una cosa non si capisce, ed è evidente che lui non la capisca, non ci scrivesse.
Non ci scrivesse perché questi film sono questo: sono enormi serie TV portate sullo schermo del cinema.
I film Marvel e i loro tanti cloni sono film che devono essere visti tutti insieme per essere capiti completamente e quando, dopo dieci anni, arriva il culmine di tutti questi film non si può chiedere di avere un riassunto perché l'idea alla base non è quella.
Perché non si sta guardando un semplice film ma l'ultimo episodio di un'enorme serie TV: perché si sta guardando il penultimo episodio di "Game of thrones".

Ah si, ci si lamenta anche del finale in questa recensione inutile perché non sia mai che una cosa annunciata tempo prima rimanga tale vero?

Qui l'articolo se volete leggerlo ma io non ve lo consiglio.

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Alla prossima!

#Editoriale
#InfinityWar
#Marvel

venerdì 27 aprile 2018

"Avengers: Infinity War" - Due ore e mezza volate via (Recensione senza spoiler)






QUESTA RECENSIONE SARà UNA RECENSIONE SENZA SPOILER QUINDI NON SARà MOLTO LUNGA E NON DIRò NULLA DELLA TRAMA IN Sè MA PARLERò SOLO DELLE MIE SENSAZIONI

Ideare, scrivere e dirigere un film con così tanti personaggi capace, parzialmente, di chiudere un progetto nato dieci anni fa era, secondo me, una cosa impossibile.
Lo dico tranquillamente: io non credevo minimamente che questa cosa potesse funzionare.
Ecco, i fratelli Russo sono arrivati e mi hanno, letteralmente, lasciato senza parole.
Sono riusciti a fare ciò che non avrei mai pensato: l'impossibile.

Con due ore e mezza di minutaggio e una miriade infinita di personaggi, alcuni nello spazio e altri sulla Terra ma in diversi paesi, i due fratelli non si perdono in chiacchiere e danno vita alla quinta essenza del cinecomic: al crossover perfetto.
Nessuna scelta sbagliata, nessun singolo momento per tirare il fiato se non quelli necessari per riuscire a godersi il film: un ritmo perfetto che non scende mai e che mantiene tutto e tutti aggrappati alla sedia. 

Tutti i personaggi, tutti, in sole due ore e mezza riescono ad avere il loro spazio, il loro momento e riescono a rimanerti dentro.
Tutto trasuda meraviglia ed epicità così come questi film dovrebbero essere.

Credetemi: non so veramente cosa dire senza anticiparvi nulla.

Questo è un film che arriva al punto e lo fa senza problemi, senza rimpianti e con la forza di un pungo che ti colpisce dritto allo stomaco.
Ci sono stati dei momenti in cui il pubblico in sala ha tremato, si è commosso e ha sentito il cuore spaccarsi in due.

Meraviglia signori miei, brividi e meraviglia.

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#Cinema
#AvengersInfinityWar
#Marvel

lunedì 23 aprile 2018

Il mio problema con "Dragonball Super"



Da ragazzini, quando andavamo alle elementari e tornavamo da scuola alle 16 e 30 e finivamo dritti sul divano, non chiedevamo molto ai cartoni.
Potevano parlare ed essere di tutto.
Potevano avere qualsiasi tipo di storia e qualsiasi tipo di personaggio.
Potevano anche avere un alieno umanoide con una coda da scimmia e ci sarebbero andati bene comunque.

Alcuni di questi cartoni invecchiano bene e altri no.
Alcuni ci sembrano ancora sensati nella loro follia e altri no.
"Dragonball", contando la prima serie e Z e GT, rimane ancora sensatissimo: rimane un picchiaduro ad incontri semplice semplice.
Certo la prima serie poteva essere un po' troppo stupida, Z poteva avere alcune follie dentro, mi hanno appena fatto notare che fanno scoppiare la Luna almeno una volta e nessuno ne parla mai ne viene risolto il problema nella narrazione, e GT poteva essere uno strano miscuglio delle due ma "Dragonball" ha e avrà sempre un suo senso perchè non voleva essere più di quello che era: una semplice storia in cui il protagonista affronta una serie di nemici in sequenza uno più forte dell'altro sconfiggendoli tutti.
Magari non ci riesce subito, magari non ci riesce come pensavano tutti ma ci riesce.

Ecco, "Dragonball Super" fotte completamente questa idea.
Super, la nuova serie di "Dragonball" arrivata anche  da noi su Italia Uno è ufficialmente finita e solo ora sono riuscita a riprenderla.
Certo non l'avrò vista in ogni suo piccolo dettaglio ma l'ho spulciata per bene e, piano piano, ho capito di avere un problema con questa serie: è veramente troppo complicata.
Ora non parlerò nel dettaglio della serie quindi se volete non saperne proprio niente evitate di leggere più avanti.

Si inizia con l'arrivo di un Dio mai visto prima pronto a tutto e capace di qualsiasi cosa.
Capace di distruggere Goku e tutti i suoi amici salvo non farlo perchè si.
Perchè l'amicizia e la forza di volontà convincono anche il più stronzo dei personaggi che da quel momento in poi diventerà una macchietta e inizierà ad allenare i nostri eroi condendo il tutto con scene super deficenti.
Successivamente assistiamo al ritorno di un personaggio amatissimo della saga principale che però non riesce minimamente a modificare il suo già segnato destino e sparisce subito.
E niente, da qui, roba abbastanza base per questa serie, il delirio.

Si parte con una rinarrazione di una saga amata da chiunque complicandola ulteriormente: vi dico solo che tirano fuori il peggio dal viaggio nel tempo.
Poi si è deciso di alzare l'asticella della follia ampliando in maniera inverosimile la mitologia della serie creando nuovi universi e nuovi personaggi duemila volte più forti dei protagonisti della serie che, nel finale, per più di un motivo dimostrano di non essere i più forti di tutta la serie.

La semplicità di una serie che sino ad oggi era solo un picchiaduro svanisce così in archi narrativi più complicati, inutili e anche mal gestiti.
Dove prima vinceva il cuore e la narrativa base ora, invece, sembra farsi avanti un qualcosa di più complicato che però risulta, per me, troppo artificioso e mal gestito.

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#Editoriale
#DragonballSuper
#Dragonball

venerdì 20 aprile 2018

Action Comics 100 - Tanti auguri azzurrone


In in mondo in cui non esistono quasi più veri eroi e sembra che solo i cattivi abbiano il potere celebrare un'icona eroica è sempre una cosa meravigliosa, almeno secondo me.
Non che non esistano veramente più i supereroi reali ma difficilmente qualcuno gira tanto a lungo quanto il protagonista di questo articolo e del millesimo numero di "Action comics": Superman.
Proprio così, mettetela come volete ma qualche giorno fa l'alieno più amato d'America ha compiuto gli anni.

Probabilmente non sono stati mille fantastici numeri ma Clark Kent rimarrà sempre Clark Kent con tutti i suoi valori e i suoi fantastici ideali.
Tutti punti fondamentali della vita e della storia di Kal El che vengono meravigliosamente celebrati in questo meraviglioso numero celebrativo.

Dopo una serie di meravigliose copertine, infatti, assistiamo alla prima storia, ad opera di Dan Jurgens, che ci ricorda come il nostro eroe non riesca a fermarsi mai neanche durante una festa in suo onore da parte dei cittadini di Metropolis e tocchi a tutti gli altri supereroi della Terra fargli godere il suo giorno libero.
Successivamente grazie a Tomasi, autore che adoro, assistiamo ad un resoconto di tutte le storie passate di Sups grazie a Vandal Savage e a qualche sortilegio magico capace di regalarci momenti e versioni mitiche del nostro amato eroe.

Dopo queste due ottime storie assistiamo a due racconti abbastanza passabile per poi arrivare ad un mini capolavoro scritto da Johns su una sceneggiatura di Richard Donner in cui osserviamo il seguito della copertina del primo "Action Comics".
Yep, avete capito bene: assistiamo ad una drammatizzazione di ciò che è accaduto dopo la magica copertina della prima storia di Superman: un confronto tra il giovane Clark e un suo vecchio amico d'infanzia a cui ha appena distrutto la macchina in cui era stata rinchiusa Lois Lane.
Un racconto capace di spiegare che Superman non è solo un alieno ma anche un profondo essere umano.

L'ultima vera bella storia dell'albo, che precede altre tre storie passabili, è quella scritta da Snyder che racconta egregiamente e in maniera atipica il rapporto tra Clark e Lex la sua nemesi principale.
Così come con Joker e Batman l'autore aveva descritto un rapporto più complicato della semplice "rivalità" così ci troviamo davanti a due uomini diversi ma anche simili che potrebbero essere amici se non fossero su posizioni antitetiche e che, in questo albo, per ripagare un debito di un certo tipo si ritrovano sulla stessa pagina e uno decide di fare un favore all'altro.
Una storia capace di descrivere un odio che in realtà li avvicina più di qualsiasi tipo di altro rapporto perché come ci insegna Moore in una delle sue opere più famose: molte volte i supereroi diventano più amici delle loro nemesi principali.

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#Fumetti
#Superman
#ActionComics

lunedì 16 aprile 2018

Gli youtuber e l'uso di internet






Come dice una persona ben più saggia e famosa di me che vive in una lontana isola, guardate "Breaking Italy" vi prego, internet è un luogo oscuro e pieno di terrore.

Internet, ragazzi e ragazze, è la merda.
Lo so io, lo sai tu e lo sanno anche i bambini non ancora nati.
Lo sanno, più di tutti, le cosiddette figure pubbliche che Youtube ha creato con il suo boom: gli youtber.
Per chi non li conoscesse, gli youtuber, sono quelli che accendono una telecamera nella loro stanza e, in un modo o nell'altro, grazie alla loro passione o originalità o carisma, diventano delle figure di riferimento per grandi e piccini e ottimi intrattenitori.

Questi, che vi piaccia o no, sono l'intrattenimento di domani se mai ci sarà spazio per loro: ne sono sempre stato convinto.
Il problema però arriva quando uno di loro, uno dei più famosi di loro, probabilmente per problemi personali o per altre ragioni al di fuori del mero shock, usa Youtube, il suo "luogo di lavoro" ma anche piccola isola felice, come posto in cui "denunciare" un crimine.


Greta, in questo video, utilizza un mezzo che sino a pochi anni fa era "soltanto" un mezzo per lavorare per raccontare una parte della sua vita e sino a qui non ci sarebbe nulla di male se poi non partisse per la tangente e iniziasse a descrivere un rapporto, dal suo punto di vista, chiaramente tossico che lei stessa non riusciva a controllare.
Allo stesso tempo, questo stesso rapporto, ora che è finito sembra le stia dando dei problemi visto che il suo ex, se tutti hanno capito bene di chi sta parlando Greta, Zoda, la sta ricattando.
Questo reato è ben descritto, tranquillamente, nel titolo del video.

Ora, non sta a me dire se ciò che "urla" Greta sia la verità o no, semplicemente, qualsiasi sia il motivo dietro a questo video, vorrei che qualcuno aiutasse questa ragazza.
Non perché mi stia simpatica o altro, anzi è il contrario, ma perché c'è effettivamente qualcosa di insano nell'aprire una telecamera e iniziare un racconto insensato, anche in presenza di appunti, su presunti ricatti o altre cose con tanto di screen.
Il video non è un video di denuncia ne un video per "crescere" è solo uno sfogo: uno sfogo che potrebbe starci ma che è scorretto e sbagliato.
Sbagliato perché i problemi in generale non si risolvono così, perché QUEI problemi non si risolvono così e perché a me sembra tanto un grido d'aiuto e da parte di Greta non è neanche il primo.

Evitiamo di aprire la telecamera per dire tutto quello che vogliamo o impariamo a spegnerla: non sia mai che qualcuno diventi Logan Paul.

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#Editoriale
#Youtube
#Youtuber
#GretaMenchi

venerdì 13 aprile 2018

The Screenwriters Room 1 - "Trust" : come far amare una vittima





Un mese fa ho chiuso il mio secondo blog, quello su Wordpress, in cui cianciavo, termine tecnico, per un bel po' su determinate scelte di sceneggiatura di film e telefilm.
Così come questo blog anche l'altro aveva un calendario di pubblicazione che però mancavo continuamente perché mi mancava la materia prima: l'ispirazione.
Alla chiusura di "The screenwriters room", questo era il nome, dissi che forse sarei riuscito a far tornare quel tipo di articoli sul mio attuale blog e, finalmente, eccoci qua: un nuovo articolo sotto la rubrica "The screenwriters room".
Ricordo a tutti che in questi post sono presenti spoiler quindi attenti.

"To be a Getty is an extraordinary thing. My grandfather wasn’t just the richest man in the world, he was the richest man in the history of the world. We look like you, but we’re not like you. It’s like we’re from another planet where the force of gravity is so strong it bends the light. It bends people too".

"All the money in the world" John Paul Getty III  
 
"Trust", prodotta e in parte diretta da Danny Boyle, ha un compito molto difficile: deve raccontare la stessa identica storia di un film uscito poco tempo fa.
Così Boyle, cosciente di questo, decide di prendere una strada diversa dalla pellicola che molti hanno visto al cinema e di rendere la vittima, passiva, la vera protagonista della storia raccontando il perché è lì, come ci è arrivata e, soprattutto, chi è.

Mentre il film di Scott ci racconta dei grandi, la serie di Boyle, invece, decide di raccontarci, nel pilot e nel secondo episodio, la storia di un ragazzo un po' ingenuo e stralunato, non è effettivamente chiaro sin da subito che lui abbia 16 anni, che è, inizialmente, alla ricerca del padre per poi trovarsi con il nonno.
Se dal genitore, infatti, Paul ha preso la dipendenza dalle droghe, dal nonno il ragazzo ha preso l'amore per l'arte e le belle cose.
Questa strana connessione, tra due persone completamente diverse, unisce i due Paul e, paradossalmente, ci permette di vedere quanto i due personaggi siano lontani uno accanto all'altro.

Quando il nonno racconta al nipote delle sue decisioni aziendali, della sua vita e delle sue idee è abbastanza chiaro come il ragazzo sia sì affascinato ma che non le condivida in nessun modo.
Paul Getty 3 è un'artista, non vuole minimamente vivere vicino al petrolio e per lui i soldi non sono un qualcosa a cui aspirare ma, soltanto, una necessità del momento.
Il nipote crede ancora nella gente e nel futuro e non è cinico e depresso come il nonno.
I "Grazie" del giovane illuminano il viso di tutti i servitori di villa Getty perché nessuno usa quella parola in quella casa: perché nessuno è umano come quel giovane idealista capitato lì in jeans.

Questa contrapposizione, questo continuo rimarcare la differenza tra i due Getty e la bontà del più giovane servono a mettere su un piedistallo un personaggio che, superficialmente, sarebbe solo un cretino, un semplice drogato non ben visto dal pubblico proprio per la sua stupidità.
Il renderlo, però, il perno morale di tutta una famiglia disonesta e meschina ne aumenta il valore e lo porta ad essere un qualcosa in più di un semplice "modo" per dare il via alla trama.

Nel terzo episodio della serie, poi, l'intera vicenda modifica, ancora una volta, la visione che il pubblico ha di Paul Getty 3: la tenera vittima che si abbassa a chiedere dei soldi per dei debiti inscena un suo rapimento.
Paul inscena la sua sparizione più per onorare un debito, per ripagarlo e per salvare la ragazza di cui è innamorato non perché voglia vendicarsi di qualcuno.
Paul fa del male per fare del bene.
Allo stesso tempo, poi, questo suo fare del male è farlo a dei personaggi sgradevoli che, nel pilot, abbiamo già imparato ad odiare e, quindi, l'intera manovra ci sembra anche giusta.

Tuttavia nulla va come previsto e, ancora una volta, il ragazzo "cambia forma" e diventa una vittima che si è ritrovata in un gioco più grande.

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#TheScreenWritersRoom
#Trust

lunedì 9 aprile 2018

Wrestlemania 34 - Il motivo lampante per cui non pago più per la WWE


So che è tardi e so che questo articolo interesserà a pochi ma come sapete da quando è riniziato l'anno ho deciso di parlarvi di più di tutti i miei interessi e quindi quando c'è la possibilità di trattare l'argomento wrestling non vedo perché tirarmi indietro.
Quindi, il punto vero della questione: Wrestlemania 34.

Ieri sera c'è stata Wrestlemania 34 e, per chi non lo sapesse, Wrestlemania è l'evento più grande per quanto riguarda la federazione di wrestling più famosa al mondo: la WWE.
In questa magica serata, che ormai prende un' intero week end con eventi connessi e non, avvengono i momenti più importanti dell'anno, quelli che tutti noi vogliamo e dovremmo ricordare e, magari, si dovrebbero avere le chiusure di molte storyline e faide aperte durante l'anno.
Uso il condizionale perché ormai questo evento è diventato una sorta di importante snodo annuale non più il culmine di un anno di costruzioni e di eventi e di match ma solo un punto in più sul grande schema.
Un punto importante eh ma sempre un punto.

Wrestlemania questa volta, forse più che mai, è stata un semplice punto in un disegno più grande.
Un qualcosa che potevamo tutti non vedere per un motivo o per l'altro: un evento passabile dal punto di vista del lottato e debolissimo dal punto di vista delle scelte, dei vincitori e dei perdenti.
Una serie infinita di robe che potevo vedere in show non a pagamento e di scelte completamente fuori di testa che non trovo sensate e che se hanno un senso sono comunque uno spreco in un certo modo.

Questo è il motivo per cui non pago più per la WWE: perché ormai ci si sforza solo di avere un momento, un momento importante o shockante o folle ma ci si ferma lì e non so sino a dove si vuole arrivare.
Forse sono io, forse io questa federazione non la capisco più e forse io chiedo troppo però così non mi piace, non mi piace per niente.

Prendete questo articolo per quello che è, prendete questo sfogo come quello di uno che ormai non ama più questa federazione ma che la segue per chi ci lavora dentro.
Ah, a me dispiace ancora per la fne della streak di Taker ma vabbè.

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#Wrestling
#Wrestlemania

sabato 7 aprile 2018

"Il Signore degli anelli" potrebbe essere letale per Amazon



Quando si parla di cinque stagioni più uno spin off, di 250 milioni di accordo per i diritti e di 500 milioni per la produzione destinati a raddoppiare è facile iniziare a crearsi illusioni e ad esultare.
Quando si parla di "Il signore degli anelli" su schermo si ritorna subito alla trilogia di Jackson e basta veramente poco per emozionarsi perché la materia prima è grande e ha già dato soddisfazioni.
Peccato che però molti, se non tutti, si scordano, in questi casi, quanto tutta l'operazione possa essere letale per i servizi streaming video che attualmente sono sul mercato o per chiunque altro: neanche i network principali spendono così tanto per un prodotto.

Il fallimento di un'operazione del genere potrebbe portare Amazon alla fine permanente o temporanea delle produzioni originali e c'è più di un rischio.

In primis parliamo di Amazon Prime Video e non di Netflix quindi credo, a naso, che il pubblico sia minore in un modo o nell'altro e il tutto potrebbe mostrare ad Amazon che i soldi spesi non sono valsi la candela.
Allo stesso tempo confrontarsi con un titolo così importante è comunque un problema visto lo storico dilemma della fedeltà al materiale originale o no e i soliti capricci dei fan dello zoccolo d'uro.
Oltre a questo tocca sempre pensare al fatto che Jackson ha già portato al cinema la trilogia e ci sarà sicuramente un confronto su ogni campo da cui, purtroppo, è difficile uscire vincenti.

Parliamo di un prodotto difficile, pieno di "spigoli", maneggiato bene solo da una persona e manco tanto, guardate "Lo Hobbit", ma capace di emozionare e sempre e comunque valido.

C'è sicuramente materiale per cinque stagioni e più di uno spin off quindi sediamoci e vediamo un po'.

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#Editoriale
#IlSignoreDeglAnelli
#Amazon
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mercoledì 4 aprile 2018

Plus One 13 - I'm dying up here



So che questa rubrica manca da tanto quindi, per chi non la conoscesse o si fosse scordato, rispiegamola: "Plus One" è una rubrica in cui parlo di un primo episodio, numero, capitolo o qualsiasi altra cosa vi venga in mente, brevemente, cercando di capire se è un ottimo inizio.
Questa volta, anche se la prima stagione è finita da un po', parliamo del pilot di "I'm dying up here"

Ambientata duranti i primi anni 70, i veri anni d'oro dello stand up, e co prodotto da Jim Carrey che, cosa che non si può negare, conosce quel tipo di vita, la serie racconta la vita e i dolori di un gruppo di comici che lavorano ogni sera nello stesso club e cercano di sfondare.
Premessa semplice e, purtroppo, non capace di interessare tutti me compreso.
Però se tutta la serie è come il pilot allora lo spettacolo è assicurato

La serie infatti, nel primo episodio, non parla minimamente ed in maniera strettissima del lavoro dei comici ma tocca le vite di tutti i protagonisti più di una volta regalandoci un po' qui e un po' li la personalità di ognuno facendocela assaporare e preparandoci per altro.
In poche battute, sul finale, possiamo vedere una sorta di manifesto della serie in s'è che ci assicura la visione completa e senza censure di un gruppo di adulti che fanno i battuti e credono di risolvere i problemi ridendoci sopra salvo poi accorgersi di averli soltanto coperti.
Allo stesso tempo, questo passare di personaggio in personaggio, ci permette di conoscere tutto l'ottimo cast, attori giovani e non, altra grandissima sicurezza del prodotto di Showtime che decide, per di più, di utilizzare un attore come Sebastian Stan in un modo abbastanza anticonvenzionale.
Utilizzando un linguaggio diretto e anche abbastanza reale la serie parte senza molti fronzoli decidendo di puntare sui personaggi e non su una trama orizzontale cosa apprezzata quando si sa scrivere.

Il pilot di "I'm dying up here" è un vero gioiello.

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