mercoledì 31 ottobre 2018

Speciale Halloween II - The haunting of Hill House




Una persona che conoscevo una volta disse che le storie di Stephen King non sono belle perché raccontano di mostri o di eventi particolari ma perché parlano di persone normali con problemi normali mentre si trovano in prossimità di una creatura o di un evento soprannaturale.
"Shining" racconta di un padre alcolizzato e violento che fa del male alla sua famiglia mentre "Under the dome" vede una città piena di segreti scoppiare dall'interno.
I mostri,nelle opere dell'autore americano, non esistono o se esistono sono solo lì per smuovere qualcosa nei protagonisti e negli antagonisti delle sue storie che però è sempre stato dentro di loro.
Se ora non provo più nessun affetto o qualsiasi altro sentimento verso questa persona non posso negare che nel corso degli anni ho sempre trovato questa sua considerazione terribilmente esatta.

"The haunting of Hill House", in questa veste prodotta da Netflix, segue la stessa filosofia dei romanzi di King e, quindi, non ci racconta principalmente di eventi soprannaturali ma di una famiglia e dei rapporti tra tutti i suoi membri.
Al di là che la casa sia veramente infestata o no, questa cosa la lascerò scoprire a voi, ad interessare lo spettatore sono i rapporti tra i protagonisti, sono quei legami che andando avanti nel tempo, per un motivo o per l'altro, possiamo perdere perché troppo deboli o mantenere perché forti.
Non ci interessa, più di tanto, se qualcuno vede degli spettri: ci interessa sapere se tra di noi ci si può perdonare.
Si può mantenere un legame sano quando intorno a noi tutto crolla per un particolare evento?
Ci si deve perdere per forza crescendo?
Si può salvare qualcuno che credevamo ormai perduto?
La morte di una persona a noi cara può ricucire alcune ferite invece di aprirne altre?

Mike Flanagan risponde a tutte queste domande piano piano, episodio dopo episodio e lo fa con una regia perfetta se non, alle volte, meravigliosa: guardate l' EPISODIO SEI.
Infatti, oltre ad aver scritto la serie il famoso regista dirige tutti gli episodi e, evidentemente, ci mette tutto se stesso.
Tolta la puntata di cui abbiamo parlato qui sopra, non vi dirò perché è speciale, Flanagan riempie il telefilm di tanti piccoli particolari, subito visibili o no, che rendono il tutto un prodotto unico e rivedibile all'infinito proprio perché pieno di tanti piccoli elementi non riconoscibili sin da subito.
Questa cura maniacale e questa voglia di stupire porta alla serie un valore unico che non si vede da nessuna parte e mai provato prima.
Oltre alla testa del regista e alla sua abilità qui c'è evidentemente anche il suo cuore.

I Crain, cinque figli con una madre e un padre, si trasferiscono in una vecchia casa con il fine di ristrutturarla per poi venderla e guadagnarci.
Molto presto però tutti loro vivranno delle strane esperienze e, in poco tempo, le cose degeneranno.
Mentre osserviamo la vita della famiglia nella casa degli Hill la serie ci da anche la possibilità di vedere cosa è capitato ai Crain diventati adulti e, nel caso dei genitori, vecchi.
In un continuo contrasto tra il presente e il passato conosciamo due famiglie molto diverse, una perfetta e una distrutta, e cerchiamo di capire perché e come ognuno si sia ridotto così e si sia allontanato dall'altro.
Utilizzando la loro vita e i problemi personali di ognuno di loro Flanagan ci porta avanti e indietro nella loro storia facendoci scontrare con demoni reali, o no?, e personali.
Concentrando gli episodi centrali della serie su un membro della famiglia alla volta riusciamo a capire la psicologia e la storia di ognuno, affezionandoci, primo obiettivo dell'intera serie, e arrivando, quindi, ad un finale pieno di emozioni che forse può deludere ma è innegabile come sia il viaggio ad essere importante.

L'unico vero problema della serie, se ce ne è effettivamente uno, è il ritmo che è basilare nei film horror.
"The haunting of Hill House" non è composta da due ore o meno, come ogni pellicola del genere, ma da dieci ore e anche se dedicare un episodio a personaggio è stata un'ottima idea è evidente come ci siano dei problemi di ritmo soprattutto negli ultimi due episodi che si perdono un po'.
Se infatti gli episodi con tutta la famiglia, quelli prima del finale, sono i migliori proprio perché arrivano ad una sorta di climax ciò che viene dopo anche se è il finale perde un po' di forza.
Questa impossibilità di mantenere il ritmo credo sia un qualcosa con cui chiunque voglia scrivere una serie horror dovrà fronteggiarsi e difficilmente verrà risolto.

Tolto questo singolo problema la serie scorre che è una meraviglia e colpisce dritta nel segno.
Probabilmente non vi spaventerà, infondo non ci sono poi così tanti momenti tremendi come tutti dicono, tuttavia basta la famiglia Crain, con i suoi problemi e i suoi pregi, a tenerci incollati allo schermo.

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Speciale Halloween I - Ghoul




Quando decisi di scrivere due recensioni diverse per Halloween come speciale per questa festa che tanto amo decisi di vedere due serie su cui io stesso puntavo molto: "The haunting of Hill House" e "Ghoul".


Entrambe serie di Netflix, entrambe prodotte da persone di un certo livello, la Blum House in questo caso e Flanagan nell'altro, ed entrambe a tema horror.
Da una parte avevamo una storia indiana di demoni e mostri.
Dall'altra avevamo una casa infestata che aveva toccato e maledetto tutta una famiglia.
Impossibile sbagliare no?

Ecco, purtroppo per me che ho dovuto vedere tre ore di questa roba, "Ghoul" è uno sbaglio in quasi tutto quello che fa.

La serie indiana che inizia come inizia il ben più scritto "Il miracolo" di Ammaniti è ambientata in un futuro non meglio precisato e in una dittatura che non si capisce bene se è religiosa o militare o un unione di entrambe le cose ma senza una religione effettiva da cui partire.
Così, per mischiare le carte e confonderti subito.
La nostra protagonista è una recluta molto promettente dell'apparato militare di questa nuova India  che viene chiamata a lavorare, per motivi non ben precisati all'inizio, in uno dei luoghi adibiti agli interrogatori.
Qui, impossibilitati ad uscire dalla base militare, lei e i soldati presenti dovranno affrontare un demone capace di giocare con le loro paure e di diventare chiunque di loro senza la possibilità di essere identificato.

Messa così, tolta la parte della poco chiara dittatura militare, l'idea di una serie o di un film horror è quasi perfetta: se parliamo di una serie dovremmo solo aggiustare i tempi tuttavia nulla che non si possa aggiustare.
Ecco, "Ghoul" viene presentato come una serie ma in realtà è un film, non sono sarcastico, adattato e decide, forse proprio per questo, di fregarsene dei tempi e dei ritmi del genere di cui vuole far parte.
Sommando questo scarso adattamento a dei problemi di scrittura evidenti e ad un finale che più cliché di così non si può non è difficile capire perché questa "serie" non mi ha soddisfatto.

Se la tua sceneggiatura è per un film prenderla ed allungarla di un trenta minuti o di un'ora non è un qualcosa facile da fare e, allo stesso tempo, anche se riuscirai a farlo è molto probabile che tutto il materiale in più che scriverai sembrerà soltanto una perdita di tempo.
Nel caso di "Ghoul" è evidente che l'intera prima ora non sarebbe mai stata accettata per un film perchè troppo introduttiva e completamente priva di veri momenti interessanti se non uno.
Ogni scena del primo episodio di questa serie sarebbe da prendere e accorciare sino a ridurne il minutaggio a una ventina di minuti così da introdurre la vicenda senza problemi tuttavia si è deciso di produrre una serie e non un film lasciandoci un pilot lungo, lento e noioso e altri due episodi per sciogliere la trama che parte dal secondo episodio in poi.
Questa serie ha solo tre episodi e anche per questo è evidente che non fosse stata progettata in questo modo.

Parlando della trama in sé se dalla parte degli uomini tutto scorre abbastanza bene e non c'è nulla di cui parlare è l'intero rapporto del film col suo demone che mi lascia perplesso.
Inizialmente la creatura ci viene presentata molto bene, la prima scena dell'interrogatorio non è male e pone le basi da cui partire come la capacità di far presa sulla mente della gente e sui loro sensi di colpa solo che poi tutto va in malore.
Le regole che ci erano state inizialmente presentate e che potevano mandare avanti il film senza problemi vengono messe da parte e il mostro non utilizza più la parola per vincere i confronti ma alcuni trucchi magici, spegne e accende le luci, e successivamente passa alla violenza vera e propria che andrebbe pure bene se non avessimo appena detto che il tutto non viene fatto prima di una certa cosa.
Quindi il film ne acquista di ritmo ma perde logica e il senso iniziale che precedentemente aveva.
Nel mentre continuiamo a scoprire una serie di cose sulla nostra protagonista e sul suo passato che vanno, purtroppo, a incasinare ancora di più la narrazione e la mitologia del mostro protagonista della storia.

Insomma man mano che andiamo avanti la serie perde credibilità e, purtroppo, guadagna in noia proprio perché, come avevamo detto, non c'è un vero e proprio ritmo.
Difatti, se il primo episodio è totalmente introduttivo il secondo è una seconda introduzione questa volta all'antagonista della storia che inizia ad agire nell'ultimo episodio costretto quindi ad essere pieno di avvenimenti.
Questa "folla" di eventi non aiuta lo spettatore che non riesce ad appassionarsi alla vicenda e, come ho detto, si abbandona alla noia.
Il finale chiude un cerchio, se vogliamo, e riapre la vicenda andando ad incastrarsi in quella categoria di horror di serie B con il finale aperto che molti odiano a ragione.

Peccato perché "Ghoul" poteva essere meglio di una semplice operazione commerciale mancata.

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lunedì 29 ottobre 2018

Il nuovo "Halloween" è un nuovo "Star Wars: il risveglio della forza"?




All'epoca lo dissi tante volte in tanti articoli diversi, qui e qui, e non ho problemi a ridirlo: anche se Episodio sette mi è piaciuto da matti è evidente che fosse un remake di "Una nuova speranza".
Credo sia innegabile il fatto che l'intera storia fosse stata solo rimaneggiata, aggiornata in qualche dettaglio, messa in un' altro contesto ma che rimanesse la stessa.
Certo, Episodio Quattro prende a piene mani dalle sezioni nei libri di sceneggiatura dove si racconta come creare l'eroe perfetto, è lo stesso Lucas a dirlo, quindi non dovrebbe essere strano rivedere questo procedimento replicato tuttavia molti elementi tra un film e l'altro si rifanno vivi quindi il confronto e l'assimilazione è facilissima da fare.

Detto questo, "Star Wars: il risveglio della forza" ha e avrà sempre un enorme merito: è riuscito a ridar vita ad un franchise morto, se vogliamo dirlo, riutilizzando elementi del passato, incamerandoli in un qualcosa di nuovo e creando una perfetta armonia tra i vecchi racconti e quello nuovo che stava arrivando.
Abrams non si è rivelato un ottima scelta per il ritorno di "Star War" perché è un bravo regista ma perché è riuscito a creare un'armonia tra quello che è stato e quello che sarebbe stato costruendo un mondo nuovo su un qualcosa di ormai passato e quasi ridotto in cenere.
Da questo film partono tutte le altre pellicole revival e operazioni simili ma nessuna sino ad ora è riuscita a bissare il successo dell'opera di Lucas: nessuno ha effettivamente ridato vita ad un franchise morto con la stessa classe e, scusate il gioco di parole, con la stessa forza.

Questo nuovo "Halloween" nasce su questa stessa linea e cerca di seguire la stessa strada già percorsa da altri franchise.
Si prende una serie di film ormai dimenticati o abbandonati ma con un certo seguito, vengono messi sotto il controllo di una persona di una certa statura e capacità creativa, Jason Blum e Danny McBride in questo caso, e si decide di ripartire da un certo punto in poi della timeline aggiornando il tutto alla sensibilità e alla mentalità dei giorni nostri utilizzando però molti e tanti richiami e cliché ai film passati.
Così, Blum e soci decidono di sbarazzarsi di tutti i film nella timeline tolto il primo e ne replicano la struttura e alcuni momenti, determinate inquadrature sono riprese pari pari al primo film, ambientando il tutto ai giorni nostri.
In queste iniziative è NECESSARIO avere non solo personaggi giovani per attirare il nuovo pubblico e per mandare avanti la storia nei successivi film ma anche riportare sullo schermo qualche attore appartenente alle vecchie pellicole per far sentire il pubblico che conosce la saga a suo agio e per dare al film stesso una mitologia pregressa da cui partire.
A questo punto, il film deve replicare momenti del passato e infilarci all'interno varie novità così da creare quell'armonia tra il vecchio e il nuovo di cui parlavamo prima.
Il nuovo film non dovrà sembrare soltanto un tributo al passato ma anche un punto da cui ripartire che dimostra la sua unicità.

Il nuovo "Halloween" spunta tutte le caselle qui sopra elencate tuttavia non riesce dove "Star Wars: il risveglio della forza" aveva avuto successo: non riesce a rilanciare il franchise con la stessa forza.

Se Episodio Sette riusciva a celebrare il passato e a muoversi in avanti creando personaggi e una storia che ci interessava seguire, la figura di Kylo è probabilmente il punto di forza di questa nuova trilogia, questo nuovo capitolo della saga ideata da Carpenter non c'entra il punto quanto dovrebbe.
Certo, non è un remake pari pari del primo film, fortunatamente, tuttavia ha una serie di limiti che danneggiano tremendamente questo nuovo inizio.

In primis la figura di Lori che doveva servire ad allacciare le pellicole passate a questa e a quelle future non ha il giusto spazio e, proprio per via della natura del film, lo scontro finale che doveva avere con Micheal non è un vero e proprio scontro finale, non è quello che tutti ci aspettavamo ed entrambi non ne escono forti quanto credevamo.
Certo, ci sono momenti di tensione e sorprese ottime durante la loro "battaglia" ma nulla di così trascendentale come si pensava.
Allo stesso tempo, le parti migliori del film o le avevamo viste nel trailer, la scena iniziale nel manicomio, o sono shoot for shoot di scene presenti nel primo film solo con diversi personaggio.
Alcune di queste scene, seguendo l'idea dell'aggiornamento, vedono i ruoli dei personaggi invertiti ma nulla di più e tutte le parti "nuove" sono tremendamente deboli così come l'introduzione dei personaggi che nel futuro dovranno portare avanti la storia.

Infine, ad essere un grosso problema per questo restart è la natura stessa di "Halloween" che nasce come slasher con un singolo assassino leggendario, Micheal è più conosciuto di Jason direi, ed è, forse, impossibilitato ad uscire da quella struttura e da quella natura che viene replicata continuamente.
Il finale del film è si un finale tuttavia, chi conosce la storia, sa che qualcosa non quadra, che non andrà in quel modo ed il tutto, purtroppo, è già stato provato più volte.

Che "Halloween" non possa tornare ai fasti di un tempo?
Che sia troppo tardi?
Che sia la sua natura a limitarlo?

Questa nuova pellicola non è brutta né fatta male tuttavia non ha la stessa forza di altri rinizi o revival.
C'è un qualcosa di sbagliato o un elemento mancante che non ti permette di uscire contento dalla sala quando si accendono le luci.
Certo, il film è molto carino ma difficilmente si vede la possibilità di un futuro.


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venerdì 26 ottobre 2018

Netflix Pick 8 - Shirkers




Il trailer di "Shirkers" racconta o, quantomeno, fa immaginare che il film di Netflix sia una sorta di crime documentary o qualcosa di simile.
Avete presente no?
La musica creepy e spezzoni di interviste con frasi particolari e d'effetto come se parlassimo di "Making a murderer" o di "The keepers".
Come se "Shirkers" fosse solo questo e non qualcosa di più.

Siamo nel 1992 a Singapore e la giovane Sandi Tan insieme ai suoi compagni di classe di cinematografia e al suo insegnante decide di girare un film scritto da lei.
Mentre i suoi compagni, più compagne a dire il vero, si occuperanno del lato tecnico e lei della direzione creativa sarà il suo maestro, Georges Cardona, ad essere il regista.
Le riprese durano per alcuni estenuanti mesi e finito il tutto il girato rimane nelle mani di Georges affinché lo monti per poi portarlo ad un festival.
Cardona però sparirà ed insieme a lui sparirà "Shirkers" insieme a tutti i sogni del cast, della crew tecnica e della sua creatrice che uscirà stravolta dall'intera vicenda.

Seguendo la realizzazione della pellicola, la figura di Cardona e la sua scomparsa insieme al film "Shirkers" si può classificare come un crime documentary ma poi, piano piano, diventa qualcos'altro.
Questo perché al di là del ritrovamento o no del film o della presenza delle spiegazioni sulle motivazioni di Cardona assistiamo, per me, ad un qualcosa di interessantissimo ed ad una sorta di must see per chiunque studi cinema o voglia fare cinema.


Sandi inizia col raccontarci com' è entrata a contatto con il cinema e la musica, con la fotografia e la scrittura e piano piano ci conduce all'ideazione del film e della sua scrittura mentre davanti a noi passano immagini provenienti da film d'epoca, citati ed amati dalla regista che ne è stata evidentemente ispirata, e filmati riconducibili ad un particolare genere cinematografico capaci sia di stupire che di inquietare allo stesso tempo.
La regista ci racconta della sua vita, delle sue idee e delle sue ispirazioni attraverso la realizzazione del film e di come queste insieme a lei siano naufragate.
Ascoltiamo le sue migliori amiche e parti integranti del film raccontare delle riprese e di chi lavorava con loro e in men che non si dica siamo dentro ad una sorta di film nel film dove non solo assistiamo alle vecchie riprese ma anche a quelle del documentario con momenti davanti alla camera che normalmente verrebbero tagliati.

Ad un certo punto anche se la linea narrativa della sparizione del film continua a muoversi in avanti si capisce che "Shirkers" è diventato una riflessione sulla visione creativa di una persona, sulla realizzazione di quella visione creativa e sulla frustrazione e successiva rovina di chi non ha visto quella creatività realizzarsi.
Il punto non è perché il girato sia sparito ma è: "Cosa succede ora che il girato è sparito?"
L'intero documentario si trasforma nelle memorie di un gruppo di persone che ha lavorato tanto, tantissimo per un'opera che non è mai stata portata a termine ed il tutto li ha formati e toccati in determinati modi.
Vediamo sempre cosa accade quando un film viene finito e mandato in sala ma mai nessuno vede cosa accade a chi non riesce a completare la propria pellicola.

Allo stesso tempo quei momenti in cui la telecamera non smette di girare durante le interviste sono tutti momenti selezionati, direttamente dalla regista, per mostrarci un particolare lato di lei e per evidenziare un ennesimo "volto" del creativo, regista o no che sia, così dentro alla sua opera da non riuscire a vedere oltre.
Così dentro all'idea di finire il film o il romanzo o il fumetto o quello che volete da non vedere che cosa sta perdendo o chi sta perdendo tuttavia capace di stupire e di creare un legame indissolubile con chi hanno lavorato.

Infine, "Shirkers" è anche questo: è la storia di un'amicizia nata e mai veramente finita come il loro film, proprio per il loro film.

Il racconto su un film scomparso diventa il luogo in cui si ragiona sulla figura dell'artista e su cos'è l'opera in sé per lui.

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lunedì 22 ottobre 2018

Special Animation 6 - Star Wars: Resistance






Il mondo di "Star Wars" è sempre stato e sempre sarà un posto in cui oltre alla storie canoniche dei film ne abbiamo tante altre.
Sono state raccontate per anni vicende con jedi e senza jedi, ambientate parallelamente ai film e lontane temporalmente da questi.
Hai tempi della vecchia trilogia, parliamo sempre di roba uscita successivamente, abbiamo avuto una serie infinita di fumetti della Dark Horse ambientati durante e dopo la trilogia classica.
Durante e dopo le proiezioni della nuova trilogia abbiamo visto vari prodotti animati situati durante la famigerata "Guerra dei cloni" che a breve tornerà sullo schermo.
Infine, durante questi anni e più specificatamente da quando l'intero franchise è passato nelle mani della Disney, abbiamo visto una serie animata e un nuovo universo di fumetti dopo il reset avvenuto a compravendita finita.

Sino a questo momento, però, la Disney ha deciso, tralasciando un fumetto ambientato sempre durante la "Guerra dei cloni" con Anakin e Obi Wan, di scrivere degli anni della vecchia trilogia perché è il periodo più amato dei fan e quello meno discutibile.
In questo modo il colosso dell'intrattenimento non ha mai raccontato degli anni della nuova trilogia né ha mai ampliato l'universo legato ai film da loro prodotti in questi anni.
Oltre ai fumetti, poi, a differenza di quello che sino a qualche tempo fa aveva fatto la Lucasfilm, la Disney ha prodotto un solo cartone ambientato tra gli anni di vuoto tra la nuova e la vecchia trilogia per creare una sorta di legame tra le due serie di film: "Star Wars: rebels".

Oltre ad essere il ritorno di "Star Wars" in TV, qui potete trovare la recensione del film d'introduzione, Rebels è una serie validissima e lunghissima che cercava di essere un prodotto per tutte le età e non solo per bambini anche se quello era il suo target.

Seguito spirituale di Rebels è questo "Star Wars: resistance" che purtroppo non è per niente come Rebels.
Ambientato, questa volta, qualche tempo prima della trilogia della Disney e presentato, in pompa magna, con una forte trama orizzontale in queste prime tre puntate sembra essere un cartone per bambini senza pretese.

Mentre Rebels riusciva, sin da subito, a creare un ottimo equilibrio tra il lato per bambini e quello per ragazzi dimostrandosi valido per qualsiasi spettatore questo nuovo cartone Disney parte male, ingrana peggio e non esce dal tunnel in cui sembra finito.
Oltre ad avere il solito personaggio deficiente spalla, insomma una sorta di Jar Jar, non riesco a capire bene come vogliano utilizzare il protagonista: questo sembra avere qualità innate per quello che vuole fare tuttavia sembra essere tremendamente stupido e quindi incapace di focalizzarsi sul fine ultimo senza fare idiozie nel frattempo.
Allo stesso tempo abbiamo tutti i cliché del caso per quanto riguarda un cartone di questo tipo, il personaggio femminile forte più bravo del protagonista o il rapporto problematico con il padre che probabilmente sarà un personaggio importante per il futuro, che se di per sè non sono per forza un male qui sembrano essere le basi portanti della serie facendoci capire che non avremmo una scelta originale per un po'.
Scelte originali che erano la forza di Rebels.

Insomma dopo Rebels le aspettative erano alte e per me non sono state minimamente rispettate.
Vedremo quando poi finirà se avrà senso recuperarlo.

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venerdì 19 ottobre 2018

Possiamo fidarci di "Making a murderer"?




Arrivata nel 2015 la prima stagione di "Making a murderer" se non qui ma in America svegliò e allarmò molti spettatori: anche nella nazione più "libera" del mondo c'era la possibilità che un innocente finisse in prigione non una ma, secondo il documentario, due volte.
L'intera vicenda, descritta con toni drammatici e cliché del genere proprio come se fosse una serie televisiva di finzione, era riuscita ad interessare il pubblico e a creare un vero e proprio movimento sociale affinché il protagonista del documentario e delle presunte ingiustizie, fosse liberato.
Alcuni conoscevano la storia di cui la serie documentario parlava, altri no ma sicuramente nessuno era a conoscenza di tutti i dettagli presentati nell'opera: ora tutto ciò che era successo era stato mostrato al pubblico con tutte le sue luci e le sue ombre.

Insieme ai premi e agli applausi però, come accade molto spesso, arrivarono però anche molte critiche: la serie venne accusata di essere imparziale e di non mettere in risalto, con la giusta forza, le prove anche a discapito del protagonista della storia.
Le registe e creatrice dell'opera erano, in sostanza, accusate di aver creato un documentario non perché Steven Avery fosse innocente ma perché loro lo volevano innocente.
Alcuni vennero convinti dal documentario ed altri dalle accuse di imparzialità: come accade molto spesso si crearono due schieramenti.

Visto che oggi è arrivata la seconda stagione, non credo che mancheranno le critiche anche questa volta, ho deciso di analizzare un po' questa questione e di parlarne in questo articolo.

Inizialmente, prima di venire a conoscenza di tutte queste critiche, finì la prima stagione e come molti mi indignai per l'intera vicenda non riuscendo a credere a ciò che avevo appena visto.
"Making a murderer" è una serie potente, capace di smuoverti qualcosa dentro e di farti arrabbiare per la follia e la cattiveria presente nel mondo che colpisce i più deboli e gli innocenti e così aveva fatto con me.
Finita la visione io ero dalla parte di Steven Avery e non avevo il minimo dubbio.
Non si dava solo spazio alla difesa o alla vita della vittima/colpevole ma anche l'accusa aveva il suo spazio, seppur minore, andando a creare un insieme di punti di vista che, per me, lasciava veramente poco spazio ai dubbi.

Successivamente però, dopo aver mostrato il mio sdegno nei posti giusti come Twitter o Facebook, mi sono "scontrato" con persone non convinte quanto me.
Alcuni avevano visto il documentario ma non ne erano usciti toccati quanto ne ero uscito io: ne erano usciti con dubbi che piano piano si erano trasformati in certezze e in accuse di imparzialità.
Al di là della presenza dell'accusa o del racconto emozionale dei parenti e delle vittime: alcuni avevano guardato i fatti presentati, si erano fatti investigatori e avevano battuto varie piste.
Così come io mi ero convinto alcuni non si erano lasciati travolgere e avevano visto nei punti ciechi lasciati dal documentario.

Perché si, "Making a murderer" ha vari punti ciechi.

Anche se è stato presentato come un'opera perfetta o comunque accuratissima molte cose mancano al primo resoconto televisivo, alcuni elementi cruciali per l'accusa vengono accennati e poi tralasciati proprio per non fartici soffermare più di tanto così da avere, nel bene e nel male, una versione parziale.
Nei pochi episodi che ho visto di questa stagione alcuni di questi dettagli vengono spiegati ma il tutto sembra arrivare troppo tardi e, strano ma vero, viene tutto lasciato subito perdere per raccontare, ancora, delle emozioni.
Vitali e importanti per il racconto ma non valutabili per il caso in sé.
Successivamente, poi, molti partecipanti al documentario hanno fatto dei passi indietro, si sono rimangiati delle affermazioni chiave e hanno accusato il principale indiziato.
Insomma: la casa ha iniziato a scricchiolare e piano piano alcuni pezzi sono venuti giù.

Le prove contro Avery potrebbero essere sufficienti ma è come se mancasse sempre un gradino in più e allora si rimane incastrati in un limbo.
Lo stesso in cui sono io adesso.

Un limbo in parte giustificato perché alle accuse di chi non crede nell'innocenza di Steven io posso rispondere  e la nostra conversazione continuerebbe all'infinito.
Questo perché è innegabile che durante l'intera seconda indagine, quella in discussione, ci sono state tantissime decisioni sbagliate e incostituzionali da parte delle autorità che hanno messo in seria discussione il loro intero operato.
Probabilmente nessuno avrebbe dubitato così tanto delle autorità se non avessero fatto pressioni su un minorenne o se non avessero detto cose che non avrebbero dovuto dire in nessun modo.

Si dice che chi è senza peccato può scagliare la prima pietra e qui nessuno sembra veramente innocente.

Questo, probabilmente, è il vero motivo per cui "Making a murderer" è una serie documentario così discussa: è uno degli esempio più lampanti di grigio che abbia mai visto.
In questa storia nessuno sembra avere ragione, nessuno torto e ognuno ha un'ottima difesa basata su fatti ben documentati.

In definitiva, possiamo fidarci di questa serie?
No, non possiamo o quantomeno non possiamo farlo interamente.
Non possiamo perché è evidente come si cerchi di far leva sui sentimenti della gente e come alcune prove importanti non vengano veramente citate nel documentario di Netflix.
Tuttavia è anche evidente che chi doveva far valere la legge si è mosso aggirando le regole, facendo cose che non dovevano essere fatte e gettando dubbi su un'intera vicenda che ai nostri occhi appare inquinata e non limpida come molti credono.

"Making a murderer" è chiaramente un documentario di parte.

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lunedì 15 ottobre 2018

Elite - Teen drama un po' adulti estremamente divertenti






I nostri amati teen drama, per capirci il "Dawson's Creek" degli inizi o "The O.C.", molte volte si fermano sulla superficie, non vanno oltre una certa linea narrativa legata ai problemi base dei ragazzi, o non riescono a superare un certo limite e dopo poche puntate oltre ad essere noiosi sono, principalmente, stupidi.
Altri, invece, potrebbero rientrare nella classe migliori di questi prodotti, quelli seri e scritti bene come le prime stagioni del già citato "Dawson's Creek"o il compianto "15 in love", salvo decidere di prendere una strada diversa, "Riverdale" sto guardando te, e ficcarci dentro un omicidio e duemila cose strane e cringe per cercare di attirare un altro tipo di pubblico.
"Elite" invece, una delle ultime serie Netflix uscite, decide di smarcarsi dal semplice teen drama prendendone la struttura, i personaggi e le storie di base alzando un po' il livello e contaminandosi, sin da subito, con una sotto trama più vicina agli young adult senza mai far incontrare le due anime della serie, tenendole ben separate al fine di creare un ottimo equilibrio.

L'ultimo prodotto spagnolo del colosso dello streaming, infatti, non vuole il pubblico base di questi prodotti ma quello più piccolo che magari vuole qualcosa di più "estremo" o quello leggermente più grande in grado di abbracciarne la follia e le dinamiche perché, magari, le ha anche vissute.
Come mi è stato fatto notare, mentre vedevo la serie, i protagonisti hanno sedici anni salvo però sembrare ventenni e anche di più, cosa che poi sono, e vivere delle esperienze più adulte del normale giustificate con una scusa tanto stupida quanto valida: questi personaggi non sono comuni mortali ma fanno parte dell'elite.
Utilizzando questa scusa lo show si permette molti "salti di fantasia" o esagerazioni descrivendo anche storie improbabili ma, allo stesso tempo, si da la possibilità a chi guarda di non farci caso proprio per i motivi scritti prima.

Queste follie o stupidaggini, dipende che cosa ne pensate, diventano parte integrante del teen drama più basilare che tuttavia viene scritto benissimo: ho trovato tutte le reazioni se non pienamente condivisibili quantomeno accettabili.
Le storie più tipiche di questo tipo di show, che sia il trangolo sentimentale o la storia omosessuale, prendono vita senza nessuna difficoltà come se fosse, veramente, una sorta di documentario.
Chiaramente alcuni personaggi saranno degli evidenti clichè su due gambe, una su tutti, ma, bene o male, riusciranno anche a diventare un po' più umani e tridimensionali del foglio di carta da cui sono stati presi, chi più e chi meno.
In sintesi, tutti fanno il loro lavoro, seguono la strada che devono prendere e lo fanno bene senza farci pensare troppo a ciò che decidono e senza salti logici, se ci sono, troppo evidenti.
Il tutto, però, è chiaramente dipendente dalla vostra predisposizione: se sin dall'inizio avete iniziato a storcere la bocca, se avete già iniziato a protestare davanti alla TV per l'età dei protagonisti e per ciò che fanno allora vi sarà impossibile godervi il resto dello show che è terribilmente divertente e coinvolgente.

Coinvolgente perché è semplicemente una storia di adolescenti e di maturazione scritta bene e non per via della sotto trama adulta di cui abbiamo parlato all'inizio dell'articolo che non prende uno spazio enorme nell'economia della storia.
Certo, l'intera trama secondaria è la parte più "vecchia" del racconto, la parte che deve e può attirare lo spettatore più adulto ma questa viene sempre tenuta lontana dalla storia principale, non diventa mai protagonista e rimane costantemente accessoria non inquinandone l'anima più "pura" anzi è proprio il protagonista meno teen a portarla avanti quasi a rimarcarne l'estranietà con il filone principale.
Dosando sapientemente queste due "vite" sembra quasi di assistere a due serie diverse unite solo dagli stessi personaggi che è un po' l'impressione che si ha nei primi minuti del pilot se si è già guardata "La casa di carta".

"Elite" non è una serie fantastica, non è una serie perfetta o guardabile da tutti ma è terribilmente divertente e fa il suo lavoro perfettamente.
Netflix, ancora una volta, è riuscita a costruire un prodotto in grado di piacere al di là dei suoi difetti visibili o invisibili perché capace di coinvolgere.
Certo, magari qualcuno dopo aver guardato l'intera serie si accorgerà di alcune idiozie eppure, se non si sta li a pensarci troppo, tutto sembra combaciare perfettamente e voi vi sarete divertiti veramente tanto.

La nuova serie spagnola più chiacchierata al mondo o, almeno, in Italia vive perché è presente su una piattaforma che ti permette di vederla tutta di seguito e quindi ti "costringe" ad entrare in un tunnel da cui è impossibile uscire.

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venerdì 12 ottobre 2018

Romolo + Giuly - La serietà della serialità italiana




 Se qualcuno vi chiederà mai se noi italiani abbiamo delle serie TV degne di nota oltre ai soliti "Gomorra" e "Romanzo criminale", oltre a "Boris" ora potrete e dovrete citare anche "Romolo

+ Giuly".

La serie di Fox Italia scritta per di più da uno dei suoi attori protagonisti, Alessandro D'Ambrosi, nasce dal web, in origine un corto, ed è arrivata sino al piccolo schermo con grande sforzo dei suoi creatori e con la forza di tutti coloro che hanno amato l'idea iniziale tanto da farla notare da persone più influenti e con più possibilità economiche e produttive.
L'arrivo in TV però ha portato la serie a cambiare e a modificarsi nel tempo andando ad allargare lo sguardo degli autori e l'ambientazione della storia, inizialmente ristretto verso la sola città di Roma, a tutta l'Italia utilizzando si la storia di Romeo e Giulietta come base ma prendendo, anche, a piene mani dalle serie TV americane e non per creare un mondo variegato, particolare e anche, se volete, speciale.

Infatti, oltre alla tragedia inglese di partenza, possiamo trovare rimandi a "Game of thrones" o a "Romanzo criminale" passando per "Narcos" e facendo una breve sosta per "Il padrino" implementando una serie di elementi appartenenti a questi prodotti nella narrazione.
Insieme al mondo delle serie TV e del cinema l'intero prodotto omaggia e cita la cultura pop attuale e passata con vari riferimenti trasformando una semplice storia in un'opera a 360 gradi capace anche di rappresentare una generazione se visto con un occhio più attento.

L'intero tono scherzoso e poco serio della narrazione rende la serie facile da seguire dando spazio a tutti i momenti eccessivi senza però compromettere la serie di alcune scene creando un equilibro perfetto tra i due registri narrativi.
Nonostante il ritmo scanzonato e l'andatura da comedy i vari omaggi e riferimenti uniti alla buonissima continuity dimostrano allo spettatore la cura nella scrittura della serie che in mancanza di uno di questi elementi poteva risultare incompleta.

Infine l'intero cast, partendo dai protagonisti sino alle più piccole comparse, non sfigura in nessuna scena rimanendo sempre in parte e non mostrandosi mai in difficoltà anche nei momenti più ridicoli.
Menzione d'onore per i due protagonisti, Beatrice Arnera e Alessandro D'Ambrosi, e per il sosia di Antonello Venditti che voglio assolutamente vedere nella seconda stagione.

"Romolo + Giuly" è il sogno che diventa realtà, è il piccolo che si allarga e che con la sua semplicità diventa un qualcosa di più di ciò che doveva essere.
In Italia, ora, non abbiamo più una serie comedy in più che vale la visione ma abbiamo un qualcosa che ci ricorda chi siamo ora con i nostri pregi e i nostri difetti e che lo fa usando tutto ciò che amiamo e che abbiamo attorno in maniera intelligente.

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lunedì 8 ottobre 2018

Doctor Corner 13 - The Women Who Fell to Earth





Abbiamo aspettato tanto, tantissimo e, finalmente, lei è caduta sulla Terra.
Capaldi ci ha lasciato, in lacrime, e, dopo il tanto agognato annuncio e successive polemiche, Jodie Whittaker si è messa il suo outfit migliore, con tanto di orecchini, ed è tornata o tornato, decidete voi, a salvare la Terra.

I primi episodi di ogni Dottore, tralasciando il discorso di presa di coscienza del protagonista, non sono mai veramente belli e non sono mai i migliori episodi della stagione.
Sono normali, per questa serie, scolastici oserei dire e tutti legati alla solita formula che da anni ci accompagna ad ogni nuovo volto del nostro alieno preferito: presentazione vaga del o dei nuovi companion, presentazione dell'alieno minaccioso che cerca di distruggere o conquistare la Terra perché cercano sempre di conquistare la Terra, presentazione della nuova rigenerazione con difficoltà motorie dovute allo stravolgimento fisico, incontro tra il companion e il Dottore in difficoltà, primo scontro col mostro, successive ricerche, confronto finale con il mostro e vittoria del Dottore con discorso di presa di coscienza ed, infine, chiusura dell'episodio con, volenti o nolenti, companion a seguito del protagonista della storia.

Questo è un primo episodio di "Doctor Who", questa è la base teorica di un episodio tipico di questa serie ed è, banale quanto volete, un perfetto racconto di introduzione all'intero mondo narrativo che si vuole presentare.
"The women who fell to Earth" è un episodio di questo tipo, segue perfettamente queste regole e questa schematizzazione e, proprio per questo, è perfetto.

Infatti, dopo tre stagioni, tutte quelle con Capaldi, con pilot un po' più particolari e lontani da questa base, Chibnall ritorna alle origini, il paragone più facile sono i due pilot dedicati a Nine e Ten, raccontando una storia semplicissima eppure tremendamente efficace.
So che qualcuno potrà essersi annoiato o potrà non aver apprezzato il personaggio, magari proprio perché DONNA, ma quello che abbiamo visto è un semplice episodio di "Doctor Who", un episodio perfetto per iniziare, in cui nessuno ha mai effettivamente fatto caso, se non un secondo all'inizio, al fatto che questa volta al timone avevamo un frontman, perdonate il termine, di sesso femminile cosa inedita per lo show.
Anche in questa tranquillità, giusta, con cui si mette in scena un grosso cambiamento per la serie, si vede la forza di questo pilot che non deve far presa su nessun argomento o polemica, che intrattiene perché, semplicemente, è la solita storia del Dottore che combatte gli alieni solo che questa volta parliamo di una donna.
Quindi, per me, punti in più per la BBC e Chibnall che non si sono minimamente interessati all'intera storia del sesso del Dottore neanche un secondo e hanno fatto il loro lavoro.

Per il resto, come abbiamo già detto, l'episodio non si dimostra essere nulla di eccezionale, soprattutto per chi ama e segue la serie dal suo ritorno sullo schermo, che segue il manuale, anche, per quanto riguarda la "sparizione" di un personaggio vicino ai protagonisti così per creare un successivo bagaglio emotivo da esplorare.
Sembra poi, almeno per il momento, che non si parlerà, quest'anno, di una trama orizzontale visto che non abbiamo visto nulla in questo senso durante l'intero pilot.

Concludiamo questa analisi guardando i protagonisti di questo nuovo corso: il Dottore insieme a Graham, Ryan e Yasmin tutti interpretati perfettamente e con, almeno inizialmente, un'ottima chimica.
L'unico che mi lascia, ora dubbioso, è Graham che ha perso il suo "doppio", diciamo, e quindi potrebbe avere un qualcosa in meno sulle scene.

Come già sapevamo, questa volta, il Dottore non avrebbe avuto un solo companion ma tre, prima volta nella storia del revival, di cui uno molto grande.
Graham, nuovo nonno di Ryan, è il più grande del gruppo, non del Dottore però, e potrebbe essere la parte più ancorata alla realtà e decisa a concludere al più presto il viaggio portando con se Ryan per via del finale di questo episodio anche se il personaggio potrebbe avere uno sviluppo completamente inverso visto che di lui abbiamo visto molto poco.
Ryan, probabilmente il personaggio che cambierà di più nel corso della stagione, è il companion perfetto, anche lui da manuale, e sembra pronto per cambiare aria e vivere avventure spaziali.
Yasmin, poi, segue, anche lei, alcuni tratti base del companion tradizionale, la voglia di cambiare la propria vita, tuttavia la nuova forma del Dottore potrebbe aprire nuove e interessanti vicende tra i due personaggi.

Infine, chiudiamo con Jodie Whittaker ed il suo Dottore, o purtroppo Dottoressa per qualche pazzo del fan sub, secondo me, interpretato meravigliosamente.
Da una parte, abbiamo visto tutta l'allegria di Ten, la follia di Eleven, la forza di Twelve e l'ingenuità di Nine in un ottimo insieme di tratti caratteristici che come da tradizione, torniamo sempre lì, riemergono nello stesso personaggio al di là dei vari cambi di volto visti negli anni.
La Whittaker, infatti, è riuscita a creare un bel personaggio, anche se siamo ancora agli inizi quindi ogni giudizio è prematuro, riportando alla luce tutti i punti più apprezzati degli altri Dottori interpretandoli però a suo modo e dandogli, secondo me, una stranissima naturalezza che ancora non mi so spiegare quindi, per ora, per me la prova è superata.
Vedremo, poi, quando gli toccherà commuoverci cosa riuscirà a fare ma, per quello, tengo veramente incrociate le dita.

Insomma, unendo il vecchio al nuovo, senza camparci troppo, Chibnall crea un ottimo primo episodio e, speriamo, una bellissima prima stagione per un buon Dottore che deve ancora far vedere tanto di sé.
Incrocio le dita per il futuro perché mi piacerebbe tanto che si andasse solo migliorando.

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sabato 6 ottobre 2018

Big mouth 2 - Meno educazione e più cazzeggio


All'epoca, un anno fa circa, la prima stagione di "Big mouth" mi sorprese piacevolmente: dietro alla solita facciata della serie per giovani adulti, volgare e scorretta, si andava a nascondere una serie che, effettivamente, andava ad educare e ad insegnare cose importanti ai ragazzi che si ritrovavano nella stessa situazione dei protagonisti sullo schermo.
"Big mouth"  si proponeva come una storia per ragazzi, volgarissima, capace però di impartire lezioni legate alla sessualità e allo sviluppo della personalità attraverso battute ed immagini grafiche e, sorprendentemente, ci riusciva benissimo.
Ogni storia e ogni personaggio aveva un inizio ed una fine ben precisa andando a concludere un ciclo ideale e riuscendo ad insegnare un qualcosa nel mezzo di tutte queste scorrettezze e figure equivoche.

Il problema principale, però, era quello di avere una serie con un grande valore pedagogico troppo grafica e volgare per il pubblico di riferimento diventando, quindi, un prodotto "vietato" per chi ne era lo spettatore perfetto e un'opera si divertente ma con troppi momenti "scolastici" per chi le materie in questione le conosceva perché abbastanza grande.
La prima stagione di "Big mouth", quindi, perdeva senso di esistere da una parte e dall'altra diventata inutile essendo un prodotto a metà meraviglioso ma, in un discorso ideale, di difficile categorizzazione e con un pubblico impossibile da decifrare.
Sarebbe, in poche parole, una serie perfetta per fare educazione sessuale a dei ragazzi peccato che sia troppo volgare ed eccessiva per fargliela vedere.
Capite il contro senso?

Seguendo questa strada in questa seconda stagione, purtroppo, si perde, in gran parte, il complesso e ottimo bagaglio informativo presente un anno fa diventando, per lo più, l'ennesima serie adulta più uno dedicata ai giovani perdendo, quindi, quel suo lato utile e innovativo che la rendeva diversa dagli altri prodotti del mercato.

Chiariamoci: "Big mouth" rimane sempre molto divertente ma, tolto un episodio, perde tutta la sua "cultura" e non raggiunge nessun altro traguardo.
Abbiamo sempre delle storie che iniziano e finiscono nella stagione, una per ogni personaggio, tuttavia queste sono molto meno ispirate e interessanti e, allo stesso tempo, si perde anche la voglia di osare andando si ad avere ottime idee, il gatto depressione ne è una, ma si rinuncia al confronto reale con il problema chiudendo la questione in poco tempo e non insegnando veramente nulla a chi guarda.

Ripeto è sempre molto carina ma non aggiunge nulla in più alle altre serie animate per adulti e quindi può essere benissimo scambiata con una di queste.
Incrociando le dita, per una terza stagione più "culturale" vi invito a vedere solo la prima, per il suo valore, e poi la seconda ma solo per completezza.

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venerdì 5 ottobre 2018

Lo vogliamo veramente questo "X Men: Dark Phoenix"?

 

Scrivo, ora, questo articolo dopo le recenti news legate all'ennesimo spostamento di data per "X Men: Darl Phoenix" senza un vero e proprio perché.
A questo punto la domanda sorge spontanea: lo vogliamo veramente questo "X Men: Dark Phoenix"?

Parliamoci chiaro: questo film, con l'ultima data confermata, sarà l'ultimo in ordine di tempo per l'universo X Men/Fox anche dopo il più interessante "New mutants"e, poi, tutti i personaggi passeranno sotto l'ala Disney che, piano piano, li introdurrà nel loro mondo.
La pellicola, quindi, ha come arduo compito quello di concludere il capitolo X Men in casa Fox, un capitolo che agli inizi degli anni duemila ha aperto il filone del cinecomic prima del tempo, e verrà dopo un film che secondo molti, in qualche modo, sarà inglobato nell'universo Marvel/Disney prima del tempo.
Questa collocazione, quindi, oltre ad essere confusionaria per il pubblico casual, che si troverà di fronte due prodotti diversi appartenenti, forse, allo stesso mondo, porterà, forse, molti appassionati a non andar in sala perché consapevoli della quasi inutilità della pellicola ricordando, anche, il quasi fallimento di critica e di gradimento degli spettatori dell'ultimo film uscito.
Insomma, da qualsiasi punto la si guarda: ci sono veramente poche aspettative.

Tolto questo, chiunque segua, un secondo, il mercato cinematografico attuale, una minima parte del grande pubblico, sa, poi, che i reshot non sono quasi mai una bella notizia per un film e soprattutto per una pellicola sui supereroi: devo ricordare a qualcuno il fallimento di "Suicide squad"?
Reshot causa del cambiamento continuo di data e, probabilmente, dovuti ad una possibile incertezza sui personaggi da utilizzare e su determinate svolte della trama.
Parlando sempre di rumor si è chiacchierato molto sulla presenza degli Skrull o sul finale aperto prima girato e poi eliminato: parliamo sempre di rumor ma, vista la situazione, sembra tutto molto probabile.

Infine, l'intera pellicola arriva alla conclusione di una seconda trilogia partita ottimamente con "X Men: Giorni di un futuro passato" e arrivato al deludentissimo "X Men: l'era di Apocalisse" che non è riuscito a reintegrare personaggi passati e ad introdurne veramente di nuovi.
Così, ci ritroviamo davanti ad un quasi remake di X Men 3, il conflitto con Xavier è lo stesso in sostanza, senza però l'intero carico emotivo che, precedentemente, avevamo avendo conosciuto i personaggi coinvolti nel "conflitto finale" in una maniera più completa.

Perchè dovrei soffrire per un Ciclope che non conosco o per una Jean che ho visto per pochissimo?
Certo, Xavier e Magneto e Mistica sono sempre gli stessi peccato che, ormai, sembrano essere, almeno dai trailer, solo più stanchi dell'ultima volta e niente di più.
Che il film, almeno, ci dia qualcosa di nuovo dal punto di vista dell'intreccio?
Dal trailer non sembra e, questo, nel bene o nel male abbassa le aspettative.

Certo, io non ho ancora visto il film, solo i trailer, e un film può sempre sorprendere ma davvero vogliamo questo film al cinema?
Davvero ci interesserà l'ultimo capitolo di una storia già, tendenzialmente, chiusa?
Davvero potrà fare meglio di un film, "New mutants", che, dai trailer, sembra essere duecento volte più interessante?

Quindi, dopo tutto questo, vi chiedo: lo vogliamo veramente questo "X Men: Dark Phoenix"?

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lunedì 1 ottobre 2018

La situazione Argento





Parlare di Asia Argento, delle molestie e di "X Factor" sarà una roba un po' complicata ma ci proviamo.

Come dissi qualche tempo fa qui sulla mia pagina di Facebook la situazione di Asia Argento, accuse vere o no, mi lasciava poco sorpreso: ciò che sta subendo lei attualmente è ciò che hanno subito tutti gli uomini, attori e produttori, veramente o no, accusati di molestia.
Invece di affrontare il problema o di avviare delle indagini più o meno rapide si è subito deciso di eliminare il problema alla radice cancellando chiunque venga accusato.

Ho sempre criticato questa scelta e la critico ancora adesso anche parlando di Asia: nessuno dovrebbe perdere tutto ciò che ha, credo sia giusto usare letteralmente questa espressione, senza più possibilità di riprenderselo, le polemiche sul ritorno di C.K. si sprecano.
Questa idea di punire senza freni, senza contestualizzare e senza avere una sorta di fine della pena è un qualcosa che fa male a tutti anche allo stesso movimento Me Too che non sarà mai lontano dalle polemiche proprio per questo giustizialismo senza senso.

C'è da dire, però, che proprio Asia non si può lamentare dell'intera faccenda come sta facendo e allo stesso tempo non condivido chiunque la rivoglia ad "X Factor" anche se pure a me farebbe piacere riaverla perché, guardando le puntate, è evidente come funzioni benissimo nel suo ruolo di giudice e di seconda pura anima musicale vicino a Manuel.
Lei stessa ha sempre professato questa follia della punizione continua e del non perdono, lei che ora vive quest'accusa e tutto ciò che ne consegue.
Non si fanno sconti a qualcuno di particolare: se si devono fare si fanno a tutti.

La stessa Asia, così come il suo accusatore, ha deciso di affidarsi alla TV per far sentire la sua voce, cosa non concessa in America a chi è sotto le sue stesse accuse invece di perseguire vie legali e basta e affrontando piano piano chiunque l'accusi anche per far respirare di più il movimento a cui si ispira.
Certo, la "vittima" della storia è una delle poche a richiedere un assegno per chiudere la faccenda, cosa che fa giustamente sorgere molti dubbi, tuttavia non sono convinto che il tutto sia una condizione sufficiente per accusarlo di falsa testimonianza.

L'intera questione Argento, quindi, oltre a mostrare un certo grado di ipocrisia, mi spiace ma anche le donne possono stuprare gli uomini, pone davanti agli occhi di chi è sincero con se stesso un problema fondamentale: forse si è stati troppo svelti ad eliminare i, probabili, colpevoli senza pensare che qualcuno poteva essere finito dentro ad un qualcosa di più grosso di lui.

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